Nell’articolo del 18 febbraio abbiamo individuato nel pericolo di una pandemia legislativa la motivazione che ha spinto Google a scendere a patti con News Corp. Abbiamo anche accennato al fatto che in Australia il disaccordo tra Facebook ed editori stava limitando la condivisione di gran parte dei contenuti giornalistici.
Quale è stata l’evoluzione della vicenda?
Dall’Australia con amore
La situazione dell’Australia va osservata con attenzione, in quanto l’accordo News Corp-Google, pur essendo su scala planetaria, parte proprio dalla pressione sul gigante del web in atto nella nazione natale del gruppo di Murdoch. Non sfugge che la futura legge australiana è stata promossa dal primo ministro Scott Morrison. Politico fortemente sponsorizzato dalla dozzina di quotidiani che fanno capo al tycoon in Australia.
La natura della limitazione imposta da Facebook in Australia
Leggendo la stampa internazionale si ricavano informazioni contradditorie sull’impatto attuale dell’azione di Facebook. Ad esempio, secondo la CNN: “Facebook ha impedito agli australiani di ritrovare o condividere le notizie pubblicate dai quotidiani australiani”. Per il Wall Street Journal, invece, Facebook “ha [addirittura] rimosso [tutte] le notizie dalla propria piattaforma”.
Quale la verità?
Abbiamo effettuato qualche prova, connettendoci con il nostro provider abituale (in Francia) ed utilizzando una VPN per simulare un utente australiano. I risultati sono identici nei due casi.
Timeline vuota
I principali quotidiani australiani risultano avere la timeline vuota, come se non avessero mai pubblicato nulla. Quantomeno a differenza ad esempio di quanto accaduto a Donald Trump, che è impossibilitato a pubblicare alcunché. Ma i cui post fino al giorno 6 gennaio 2021 sono tuttora leggibili.
Il Canberra Times non è un caso isolato: lo stesso vale per Sydney Morning Herald e tutte le altre pubblicazioni importanti. Incluse quelle del gruppo News Corp come The Australian.
Condivisione Contenuti
Ecco invece il risultato che si ottiene cercando di condividere sulla timeline personale un articolo a caso:
Nessun problema invece a condividere lo stesso articolo sul social network russo VK. E nemmeno anche nel condividere – sempre dall’Australia – un importante articolo di un editore italiano riguardante le nomine dei sottosegretari:
La Legge in discussione al parlamento Australiano
La Media Barganing Law in discussione al parlamento australiano impone a Google e Facebook di aprire trattative con gli editori al fine di stabilire i termini per la retribuzione dei contenuti di questi da parte delle piattaforme. La regolamentazione si applica agli editori australiani, focalizzati sull’Australia e con un fatturato minimo di 150.000 dollari australiani/anno (118.000 dollari USA/anno).
Link a pagamento
Non si parla di se ma di quanto. Cioè si dà per scontato che il flusso di denaro debba esistere ed essere nella direzione piattaforma verso editore.
Autorità indipendente
La proposta si spinge anche oltre, specificando che, in mancanza di accordo, un’autorità indipendente deciderà i termini economici e questi saranno inappellabili.
Ad Personam
Il testo definitivo in esame non è attualmente disponibile online, ma lo sono alcune interessanti FAQ che chiariscono l’architettura generale del provvedimento. Il documento riguarda testualmente Google e Facebook e non i social media in genere (come ad esempio Snapchat o il russo VK).
La questione algoritmo
Nei vari articoli a commento della vicenda non abbiamo citazione di una cosa che a noi pare critica: nella FAQ di cui sopra si dice che il legislatore australiano obbliga esplicitamente Google e Facebook ad informare con 28 giorni di anticipo gli editori ogni qualvolta “vengano effettuati cambiamenti all’algoritmo che influenza il traffico verso i siti di notizie”.
Gli algoritmi
È noto come gli algoritmi delle piattaforme Google e Facebook siano uno degli asset strategici di queste, e che non siano mai stati resi veramente pubblici. Ma non basta.
Molti ricercatori nel campo della intelligenza artificiale ritengono che neppure i vertici di Facebook (e Google) sappiano esattamente come questi algoritmi funzionino. Un affascinante argomento affrontato anche da Stephen Wolfram durante un’audizione al senato USA su cui torneremo.
Cosa si sa degli algoritmi
L’ultima descrizione fornita da Facebook, ad esempio, usa frasi vaghe come “l’algoritmo scarta post che pare improbabile creino engagement per il singolo utente, oltre a contenuti che l’utente non vuole vedere”.
Pare probabile che se questa parte di normativa diventerà effettivamente legge, gli editori riceveranno un preavviso inutile sotto forma di un’informativa generica con parole vaghe.
La posizione di Facebook
La posizione di Facebook è stata ufficializzata con un comunicato del 17 febbraio 2021. In questo si afferma che la legge australiana interpreta in modo fondamentalmente scorretto il rapporto tra la piattaforma e gli editori. Innanzitutto – si dice – mentre Google automaticamente indicizza e propone i contenuti degli editori, Facebook mette a disposizione degli stessi la facoltà di promuovere i propri contenuti creando attivamente dei post. Favorendo dunque l’abbonamento ai contenuti stessi, o comunque un allargamento della base dei potenziali lettori.
La valutazione economica
Facebook scrive inoltre che lo scambio di valore tra piattaforma ed editori è nel verso opposto, avendo ad esempio generato nel 2019 oltre 5 miliardi di free referrals per questi ultimi, con un valore stimato equivalente a 407 milioni di dollari canadesi (322 milioni di dollari USA).
Tim Berners-Lee
A livello più strategico, Facebook chiama in causa anche l’inventore del concetto stesso di “web”, ovvero Tim Berners-Lee. In un intervento pubblico, Berners-Lee ha indicato nella richiesta di pagamento per i link da parte di Stati ed editori una rottura con i principi basilari del web stesso. Dove ciascuno deve essere libero di far riferimento a contenuti disponibili altrove nella rete, senza per questo dover pagare nulla.
Tim Berners-Lee e Facebook
Il fatto che Facebook citi l’ideatore del web è quasi surreale, considerando che pochi anni fa questo aveva fortemente criticato proprio Facebook per un motivo analogo. Le URL dei post su Facebook funzionano solo da “dentro” la piattaforma stessa e non sono (ad esempio) linkabili da Wikipedia.
Conseguenze immediate
Come conseguenza di queste osservazioni Facebook ha deciso di implementare i blocchi alla distribuzione delle news descritti sopra (anche senza attendere l’entrata in vigore della legge).
Breaking News
E’ di martedì 23 febbraio la breaking news che Facebook ripristinerà nei prossimi giorni l’accesso alle pagine degli editori in seguito “a un accordo con il governo”.
Due interpretazioni
Ci sono due interpretazioni di questo fatto. La prima, che abbiamo ricavato ascoltando alcune room su Clubhouse, è che la piattaforma priva degli editori principali serviva agli utenti una timeline contenente quasi esclusivamente siti di fake news (o clickbait), con conseguente rivolta degli utenti. La seconda, quella ufficiale: “Dopo le ultime discussioni, siamo soddisfatti dei cambiamenti accettati dal governo australiano. Cambiamenti che affrontano le nostre preoccupazioni principali riguardanti i nostri accordi commerciali e il valore che la nostra piattaforma apporta agli editori stessi”.
Zuck vs Rupert, 1-0 ?
Le interpretazioni abbondano in queste ore, costringendoci a dare appuntamento ad un’ulteriore approfondimento. (M.H.B per NL)