Situazione in movimento nel controverso rapporto tra Google e gli editori europei. Nelle sue molteplici identità di distributore egemonico su internet dei contenuti altrui, la multinazionale di Mountain View sta cercando di ottenere accordi a tutto campo per evitare interventi legislativi che ne possano in qualche modo limitare le possibilità di espansione nel vecchio continente.
E’ di pochi giorni fa la notizia dell’intesa raggiunta con il governo francese, che prevede l’istituzione di un fondo di 60 milioni di euro a favore di progetti innovativi legati all’editoria digitale, in cambio del sostanziale abbandono dell’idea di istituire una tassa per l’utilizzo dei contenuti giornalistici sul motore di ricerca (la cosiddetta “Google Tax”). In realtà gli editori transalpini non sembrano essere molto soddisfatti del risultato raggiunto, che non garantisce affatto profitti durevoli, quali sarebbero stati ad esempio quelli derivanti da una percentuale sugli utili miliardari realizzati annualmente da Google. Tuttavia, l’alternativa sarebbe stata probabilmente peggiore: la sparizione delle testate dall’indice del motore di ricerca più cliccato al mondo, ovvero virtualmente la cancellazione dalla rete. L’accordo francese è stato salutato come una tappa storica dagli esponenti della società USA: in effetti si tratta di un passo che apre una breccia consistente nell’alleanza italo-franco-tedesca in guerra contro l’over-the-top da qualche mese. Prevedibilmente, altri attori delle istituzioni e dell’editoria europea si accoderanno nel prossimo futuro, pena l’esclusione dalla rivoluzione digitale. Sul fronte del video, la formidabile macchina di YouTube (i numeri parlano da soli: 800 milioni di utenti unici al mese, 4 miliardi di video visualizzati al giorno) continua il cammino verso quella che sarà la televisione del futuro. Mentre da noi si combattono battaglie di retroguardia, tipo quella di Mediaset per far rimuovere i propri contenuti dalla piattaforma internet più vista del globo, altri si affrettano a migrare il proprio palinsesto sulla rete, stimolati dalle opportunità offerte ai produttori di contenuti per realizzare canali originali. Google stanzia infatti una cifra, che può arrivare fino al milione di euro, per i progetti televisivi che vengono giudicati più promettenti, e in cambio intasca tutti i proventi pubblicitari per un anno. Poi il canale si deve sostenere da solo, versando comunque una percentuale degli introiti a Mountain View. Il progetto, partito negli USA e approdato l’anno scorso in Gran Bretagna, Francia e Germania, doveva giungere in Italia a febbraio, ma è per il momento sospeso. Le motivazioni non sono note, ma l’ipotesi più probabile è che il gigante del web abbia deciso di attendere gli esiti dell’evolversi della nostra aggrovigliata situazione politica, per poi individuare i giusti interlocutori. Il nostro paese, del resto, appare come uno dei più chiusi all’innovazione, sia per la presenza di forti tendenze al copyright enforcement (sia la vecchia Autorità per le comunicazioni che la nuova si sono più volte pronunciate a favore di una legislazione più restrittiva per la protezione del diritto d’autore su internet), che per il permanere di concentrazioni verticali nel mercato della televisione, dove i grandi produttori di contenuti sono anche proprietari della rete di distribuzione, e non vedono di buon occhio la convergenza della televisione sulla rete. Sia nell’uno che nell’altro campo le posizioni italiane sono spesso tendenti alla conservazione dello status quo, tenendo in minima considerazione i pur pressanti cambiamenti delle modalità di produzione e fruizione dei contenuti multimediali nell’epoca di internet. Per questo conoscere l’orientamento politico del governo prossimo venturo sarà importante (e non solo per Google) per capire in che direzione si muoverà l’Italia: se continuerà a cercare di frapporre fragili dighe al fiume in piena o cercherà più saggiamente di sfruttare la corrente a suo favore. (E.D. per NL)