Editoria. Difesa equo compenso e plagio da I.A. sarà marcatore temporale. Già qualcosa, anche se soluzione sarà sempre e solo accordo

marcatore temporale

Mentre da Google rassicurano che le produzioni umane di qualità saranno sempre valorizzate rispetto ai contenuti elaborati dall’Intelligenza Artificiale, si discute di diritto d’autore ed equo compenso. Al centro del dibattito, il modo di stabilire in forma inequivocabile la paternità umana di un’opera.
La migliore soluzione al momento individuata è nell’antico brocardo “Prior in tempore, potior in iure”, che letteralmente significa “Primo nel tempo, più forte in diritto” e che nell’era della smaterializzazione dei contenuti e dell’elaborazione degli stessi da parte della I.A. trova un utile strumento nel cd. marcatore temporale da apporre sulla prima opera.

Sintesi

L’idea alla base è quella di marcare i contenuti umani, in particolare quelli dei giornalisti (i più saccheggiati dai bot I.A.), con una firma digitale a livello di contenuto complessivo, con indicazione di data ed ora di creazione/pubblicazione.

Marcatore temporale: finalità

“Chiaramente la data certificata di realizzazione di un contenuto consentirà di contestare eventuali impieghi non autorizzati da parte della I.A. (sia attraverso LLM, large language model, cioè i protocolli di addestramento delle intelligenze artificiali, che di elaborazioni di contenuti scandagliati in rete), ma anche di rivendicare uno sfruttamento indebito nella sua forma originaria da parte delle piattaforme OTT di condivisione, ottenendo il cosiddetto equo compenso“, spiega Gloria Siri, giurista esperta di copyright per Consultmedia.

Blockchain

La marcatura temporale si basa sulla blockchain, una struttura dati che consiste in elenchi crescenti di record, denominati “blocchi”, collegati tra loro in modo sicuro utilizzando la crittografia. Ogni blocco contiene un hash crittografico del blocco precedente, un timestamp (cioè il marcatore temporale) e dati di transazione. Poiché ogni blocco contiene informazioni sul blocco precedente, questi formano effettivamente una catena con ogni blocco aggiuntivo che si collega a quelli precedenti.

Transazioni irreversibili

Di conseguenza, le transazioni blockchain sono irreversibili in quanto, una volta registrate, i dati in un determinato blocco non possono essere modificati retroattivamente senza alterare tutti i blocchi successivi.

Il creatore di prima istanza

In altri termini, l’utilizzo di una blockchain consente di certificare gli interventi posti in essere su un contenuto, tracciandoli a livello temporale, fino a risalire al creatore di prima istanza.

La Commissione AI per l’informazione

Le positive esperienze estere d’impiego del timestamp (New York Times e Fox News, tra gli altri) hanno indotto a valutare l’adozione del marcatore temporale anche in Italia. Nel nostro paese, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’informazione e all’editoria, Alberto Barachini, ha fatto sapere che il Governo è al lavoro su un disegno di legge di prossima pubblicazione e che sul fenomeno I.A. sta lavorando dal novembre scorso la Commissione AI per l’informazione, presieduta da padre Paolo Benanti.

Padre Benanti

Padre Benanti è un esperto di etica delle tecnologie ed unico italiano membro del Comitato sull’intelligenza artificiale delle Nazioni Unite e consigliere di Papa Francesco sui temi dell’intelligenza artificiale e dell’etica della tecnologia.

Sentinella

“Ovviamente tutti sono consapevoli che il marcatore temporale è una sentinella, che, da sola, non può tuttavia risolvere il problema a monte: quello del compenso per lo sfruttamento di un contenuto, il diritto dell’autore, in definitiva”, spiega la dr.ssa Siri.

Accordo tra le parti

“Per risolvere alla radice la questione, l’unica soluzione è un accordo tra le parti. Tema su cui è intervenuto nelle scorse settimane il Consiglio di Stato, annullando la decisione del TAR Lazio 18790/2023 che, a seguito di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e nelle more della pronuncia di tale consesso, aveva sospeso l’efficacia del Regolamento Agcom sull’equo compenso da parte delle grandi piattaforme online (come Facebook) in favore degli editori, ritenendo i pregiudizi paventati dall’OTT non ‘concreti ed attuali’, né ‘gravi e irreparabili’, sottolinea la consulente di proprietà industriale.

Il ricorso contro la sospensione del TAR Lazio

Ricordiamo che il Consiglio di Stato era stato adito dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni contro la sospensione del Regolamento sull’equo compenso per l’utilizzo online delle pubblicazioni giornalistiche decisa dal TAR Lazio su richiesta di Meta Platforms (Facebook), nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia UE.

Target: accordo

“Sospensione che – come osservato dagli editori Fieg nella memoria a sostegno delle ragioni dell’Autorità – avrebbe avuto come solo effetto quello di privare editori e piattaforme digitali della possibilità di avvalersi dell’apporto di un soggetto terzo competente (l’Agcom), in grado di facilitare il raggiungimento di un accordo”.

Confronto mondiale

La decisione del Consiglio di Stato è giunta peraltro in un momento molto delicato del confronto mondiale tra Meta e gli editori.

Le modifiche di aprile 2024

In una recente nota informativa pubblicata sulla propria pagina, Meta aveva comunicato che: “All’inizio di aprile 2024 dismetteremo Facebook News, la nostra sezione dedicata ai contenuti di notizie, negli Stati Uniti e in Australia, come fatto lo scorso anno nel Regno Unito, in Francia e in Germania”.

Gli aggiornamenti

“Gli utenti potranno ancora visualizzare le notizie di Facebook nei feed in questi paesi e gli editori continueranno ad avere accesso ai propri account e alle proprie pagine FB, dove potranno pubblicare collegamenti e articoli“, continuava Meta, spiegando che “Questo aggiornamento non influisce sugli accordi esistenti con gli editori in Australia, Francia e Germania fino alla loro scadenza”.

Su Facebook la gente apprezza i reel, non le news

La decisione, secondo Meta, conseguiva alle strategie per allineare gli “investimenti ai prodotti e ai servizi che il pubblico apprezza di più”, destinando “tempo e risorse su ciò che le persone mostrano di voler vedere di più sulla piattaforma, come i reels. D’altra parte, lo scorso anno il numero di utilizzatori di Facebook News in Australia e negli Stati Uniti è diminuito di oltre l’80%”.

Recap

Sulla vicenda disaminata dal Consiglio di Stato, ricordiamo che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva approvato il “Regolamento in materia di determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico”. Tale provvedimento avrebbe dato attuazione alla previsione di cui all’art. 43 bis della Legge 633/1941, introdotta in recepimento della c.d. Direttiva UE Copyright (2019/790).

Articolo 43 bis L. 633/1941

Nel merito, il nuovo articolo 43 bis, comma 8, della Legge sul diritto d’autore, adottato con D. Lgs. 177/2021 attuativo della Direttiva UE 2019/790, ha introdotto nell’ordinamento italiano la previsione di un equo compenso da riconoscere agli editori di pubblicazioni giornalistiche per lo sfruttamento online di tali opere.

Regolamento equo compenso

Al fine di dare attuazione a quanto prescritto, la medesima disposizione aveva anche stabilito espressamente che Agcom adottasse uno specifico regolamento per l’individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso.

Approvazione

Così, in adempimento alla normativa richiamata – e in ossequio al diritto europeo – l’Agcom, in data 19/01/2023, aveva comunicato di avere approvato il “Regolamento in materia di determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico”. In proposito, è opportuno ricordare come l’Autorità avesse già sottoposto a consultazione pubblica lo schema del provvedimento con Delibera 195/22/CONS.

Ratio

Secondo Agcom, “il regolamento ha come obiettivo principale quello di incentivare accordi tra editori e prestatori di servizi della società dell’informazione, ivi incluse le imprese di media monitoring e rassegne stampa ispirandosi alle pratiche commerciali e ai modelli di business adottati dal mercato”.

Base di calcolo equo compenso

Nel prosieguo del testo, l’Agcom aveva poi precisato che la base di calcolo da utilizzare per la definizione dell’equo compenso è data dai “ricavi pubblicitari del prestatore derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore, al netto dei ricavi dell’editore attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web dalle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online dal prestatore”.

Ricavi inclusi….

Nel calcolo, pertanto, era inclusa esclusivamente la raccolta pubblicitaria generata dalla presenza e dall’interesse mostrato dai lettori sulle notizie riportate su piattaforme quali Google, Facebook e similari.

… ed esclusi

Diversamente, come è facile comprendere, non sarebbero stati conteggiati i ricavi riconducibili al traffico di reindirizzamento.

Ricavi indiretti

L’Autorità aveva poi optato anche per non considerare nella base di calcolo i c.d. ricavi indiretti, in quanto di difficile individuazione e perché compensati con l’aliquota massima prevista da applicare sull’importo così ottenuto.

70%

Infatti, il Regolamento aveva previsto che all’editore, a seguito di apposita negoziazione, potesse essere riconosciuta una quota massima del 70% dei ricavi pubblicitari sopra descritti.

Flessibilità

In merito a tale percentuale massima, l’Autorità aveva specificato che la stessa ha “l’obiettivo di rendere flessibile lo schema di determinazione dell’equo compenso, adattandolo alle diverse esigenze delle parti e alle diverse caratteristiche tanto dei prestatori quanto degli editori, facilitando al contempo l’instradamento delle negoziazioni”.

Valutazione equo compenso

I criteri a definizione dell’effettiva aliquota da applicare venivano stabiliti dal Regolamento, ove si affermava altresì come dovessero essere applicati “cumulativamente e con rilevanza decrescente (art. 4, comma 3)”.

Consultazioni online, rilevanza nel mercato, numero di giornalisti

Nello specifico, i criteri previsti partivano dal “numero di consultazioni online delle pubblicazioni (da calcolare con le pertinenti metriche di riferimento)” e dalla “rilevanza dell’editore sul mercato (audience on line)”, prendendo poi in considerazione il “numero di giornalisti, inquadrati ai sensi di contratti collettivi nazionali di categoria”.

Costi

Seguivano poi i parametri relativi ai “costi comprovati sostenuti dall’editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online” e ai “costi comprovati sostenuti dal prestatore per investimenti tecnologici e infrastrutturali dedicati esclusivamente alla riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online”.

Adesione codici di autoregolamentazione e anni di attività

Infine, gli ultimi elementi per la valutazione dell’aliquota applicabile riguardavano, da un lato, la possibile “adesione e conformità, dell’editore e del prestatore, a codici di autoregolamentazione (ivi inclusi i codici deontologici dei giornalisti) e a standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking”, dall’altro gli “anni di attività dell’editore in relazione alla storicità della testata”.

Bilanciamento di interessi

Relativamente ai criteri sopra delineati, Agcom aveva specificato come, “nel garantire il riconoscimento dei diritti in capo agli editori”, questi rispondessero “alla necessità di effettuare un attento bilanciamento dei diversi interessi in gioco sia di natura pubblicistica […] sia di natura privatistica, preservando la libertà negoziale e il raggiungimento di accordi reciprocamente vantaggiosi”.

Aleatorietà e rischio ricorsi

Sul punto osservavamo al tempo su queste pagine come “considerata la complessità e la parziale aleatorietà dell’elencazione sopra riportata (peraltro in parte già disciplinata dall’art. 43 bis della Legge n. 633/1941)” non fosse da escludere un ricorso eccessivo da parte degli editori alla procedura prevista dall’Autorità per dirimere eventuali controversie.

Art. 43 bis, comma 10

Proprio la legge sul diritto d’autore prescriveva all’art. 43 bis, comma 10, che “se entro trenta giorni dalla richiesta di avvio del negoziato di una delle parti interessate non è raggiunto un accordo sull’ammontare del compenso, ciascuna delle parti può rivolgersi all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per la determinazione dell’equo compenso, esplicitando nella richiesta la propria proposta economica”.

Risposta entro 60 giorni

La norma prosegue specificando che l’Autorità dovrà rispondere entro 60 giorni, indicando la proposta conforme sulla base dei criteri stabiliti nel Regolamento.

Determinazione d’ufficio

Diversamente, Agcom potrà provvedere d’ufficio a stabilire l’equo compenso da applicarsi nel caso specifico.

La ripresa dei giochi

Il Regolamento Agcom era tuttavia successivamente stato sospeso dal TAR Lazio su ricorso di Meta (Facebook). Decisione ora annullata dal Consiglio di Stato. (A.N. per NL)

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