Durante un’audizione alla Commissione Cultura della Camera, il sottosegretario Vito Crimi ha spiegato quella che sarà la linea del governo sui contributi diretti e indiretti all’editoria per preservare i valori della libera informazione.
L’idea di fondo è quella di dare al cittadino la possibilità di sostenere i quotidiani tramite l’acquisto degli stessi, facendo in modo che lo Stato non debba continuare a supportare mediante fondi pubblici i costi della carta stampata. Sarebbe l’uovo di Colombo, se non fosse che l’intento appare, ad un occhio tecnico, un po’ troppo semplicistico.
La proposta, ancora da sottoporre al Parlamento, potrebbe sostanziarsi in un intervento organico volto a tutelare le piccole realtà editoriali, che promuovono l’informazione sul territorio, aiutandole a fare un passo in più verso la digitalizzazione. L’attuale disciplina in materia di contribuzione, secondo Crimi, non aiuta a sufficienza le testate giornalistiche ad evolversi verso l’informazione digitale. Qualche perplessità su tale assunto, sarebbe lecita: i finanziamenti pubblici rallenterebbero l’evoluzione verso il digitale? Casomai a farlo saranno i criteri di determinazione, volti a privilegiare modelli anacronistici, piuttosto che la mera contribuzione economica. Tuttavia, per Crimi, ciò non è l’unico possibile cambiamento.
Come detto, secondo il sottosegretario pentastellato, il problema da risolvere è quello dei finanziamenti pubblici, che, così come impostato, impedirebbe di realizzare un’editoria indipendente e trasparente.
Stando a quanto riportato nella dichiarazione programmatica reperibile sul sito del DIE, il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, “sull’insieme di strumenti a sostegno dell’editoria bisogna fare una riflessione complessiva, una riorganizzazione che consenta la centralizzazione della loro gestione affinché sia facilmente verificabile, con massima trasparenza, la reale incidenza nei bilanci delle aziende“.
La ricetta, forse più scontata della diagnosi, è quella di intervenire sulle attuali regole che pongono soglie sulla raccolta pubblicitaria: l’adv rappresenta infatti la principale fonte di ricavi per le testate giornalistiche. Secondo Crimi, è proprio qui che andrebbe ricercata l’anomalia del sistema editoriale degli ultimi anni: gli inserzionisti, svolgendo un ruolo essenziale per il finanziamento degli editori, hanno condizionato il prodotto editoriale prendendosi la libertà di controllare le testate, pena, il venir meno dei finanziamenti stessi. Il quadro diviene ancor più spiacevole se si considera che, talvolta, questo controllo indiretto proviene da società pubbliche.
Il senatore grillino in una lettera (poi pubblicata anche sui social) di risposta a Mario Calabresi – direttore di Repubblica – scrive: “Qualunque intervento volto a modificare il sostegno all’editoria, avrà una tempistica che consenta alle imprese di adeguarsi, non si dirà ‘da domani si fa questo’; voglio evitare questo shock, tutto sarà graduato e reso indolore. Vogliamo gradualmente far sparire il finanziamento pubblico, che non fa bene all’informazione. Si tratta di un primo passo per avere un’informazione di qualità”.
Andrea Riffeser Monti, presidente della Federazione Italiana Editori Giornali, a proposito delle dichiarazioni di Crimi – come riportato dal quotidiano Italia Oggi – spiega: “Mi auguro che si ricerchi nel Parlamento la massima condivisione sulla riforma in modo da dare certezze alle imprese senza doverla ridiscutere qualora dovessero cambiare gli equilibri, considerando il ruolo fondamentale della stampa per la democrazia del Paese”.
Il presidente Fieg ha commentato in maniera positiva le affermazioni del sottosegretario, poiché la libertà di stampa e il pluralismo si possono realizzare solo attraverso imprese editrici autonome ed economicamente sane, che operino in un contesto di mercato uguale per tutti, assicurando un’effettiva concorrenza ed applicando regole chiare. (D.D. per NL)