L’annoso dibattito sul futuro dell’informazione, soprattutto in merito agli scenari che si intravedono per i media tradizionali quale veicolo privilegiato di trasmissione delle notizie, riservano quotidianamente ricette e cure per le oramai conclamate difficoltà della carta stampata. Con piglio quasi schizofrenico, c’è chi giunge addirittura ad ipotizzare tariffe e canoni di abbonamento per le news online come elisir di sopravvivenza di pletoriche redazioni. Bernard Poulet, giornalista e caporedattore del quotidiano francese Expansion, ci offre un punto di vista differente nel suo ultimo libro "La fin des jornaux et l’avenir de l’information" (Le Debat – Gallimard, 2009), anticipandoci già nel titolo la perentorietà della sua convinzione. L’argomentazione, infatti, si dipana dalla teorizzazione della fine dei giornali per configurare i nuovi scenari dell’informazione. Tale evenienza, ritrova il suo nesso di causalità nel veloce distaccamento degli investitori dai tradizionali canali di diffusione della pubblicità. L’advertising, oggi e già da qualche anno, rivolge le proprie attenzioni verso la digitalizzione degli spot: "I quotidiani nazionali non sono più di moda, non sono più un passaggio obbligato per la pubblicità. La moltiplicazione dei nuovi supporti ha reso sempre più complessa la strategia degli inserzionisti tra i quali cresce il dubbio sull’efficacia dei mezzi stampa, per cui orientano i loro investimenti "fuori media": nei punti vendita, in attività promozionali, sponsorizzando grandi eventi" (Fausto Lupetti, www.affaritaliani.it , 21/08/2009). Quindi, denaro che muove il sole e le altre stelle. Il successo di una qualsiasi impresa editoriale, cresce proporzionalmente alla crescita della raccolta pubblicitaria che si riesce ad intercettare (salvi finanziamenti di altri fonti, che però vincolano ineluttabilmente il mezzo d’informazione). A ben guardare, tuttavia, coloro che mettono in bilancio la voce promotion, calibrano sempre l’ esborso in funzione del livello di diffusione del canale prescelto e della sua capacità di raggiungere una certa audience. Così funziona per la pubblicità in televisione, sui giornali ed anche online; se poi si considera il grado di diffusione dello strumento internet ed il numero di contatti che quotidianamente e da ogni parte del globo ricevono Google piuttosto che Facebook o E-Bay, al cospetto i canali Tv – digitali, satellitari o analogici che siano – e della stampa naufragano nell’oblio. Secondo Poulet, contribuisce prepotentemente al tracollo delle edicole la consuetudine per i giovani di informarsi su internet. Sottolinea l’autore, che questa circostanza denota uno scarso interesse della popolazione in erba per le tradizionali news impaginate nei media tradizionali. Economia, politica, cultura, sono argomenti che non interessano più le nuove generazioni. La loro voglia d’informazione (purtroppo) è distaccata dall’evolversi della cultura, degli usi e dei costumi di una popolazione disomogenea e sempre più relegata alla condivisione di contenuti tra utenti campionati omogeneamente nell’ambito delle parole chiave che più rispecchiano i loro caratteri. Oggi si chiamano comunità, ma, tralasciando per una volta lo slang, potremmo definire questi fenomeni sempre più dilaganti con gergo tribale. Continuando a dipingere l’evoluzione della notizia con efficace criticità, il giornalista di Expansion cita nel suo lavoro una ricerca introducendo un dato davvero sconvolgente: se la rete riuscisse ad intercettare il 10-15% dei budget pubblicitari della stampa tradizionale, questa precipiterebbe in una crisi senza precedenti ed il giornalismo subirebbe una profonda (e forse non proprio positiva) trasformazione: non si dovrà più pensare ad informare, ma soprattutto a captare l’attenzione dell’internauta consumatore accantonando la preminente funzione pubblicistica della stampa, ovvero quella di servizio pubblico. Anche se non condividiamo chi considera il web come ricettacolo di informazione di bassa lena e luogo dove la professione di giornalista non trova cittadinanza, il problema più volte sollevato anche in questi giorni di un sano giornalismo di qualità rimane un tema per il quale urge un serio confronto. Forse, l’unica via d’uscita potrebbe essere quella di non contrastare l’evolversi dei canali d’informazione tenendo una mano sul mouse e l’altra sulla coscienza del buon giornalista. (Stefano Cionini per NL)