Cosa differenzia un social network da una piattaforma di musica in streaming come Spotify? Si potrebbero dire molte cose ovviamente, ma un punto tanto fondamentale quanto – forse – nascosto è l’utilizzo o meno di “filtri” da parte dell’utente. Si tratta della pirandelliana differenza tra apparire ed essere.
Quando rispondiamo alla domanda “a cosa stai pensando?” che tutti i giorni Facebook ci pone o quando postiamo una foto su Instagram molti cercano di mostrare la propria parte migliore, pubblicando qualcosa che li faccia vedere attraenti agli occhi degli altri e, perché no, che possa suscitare anche un po’ di invidia. Sui social, quindi, presentiamo ciò che siamo e cosa facciamo, ma utilizzando un filtro che selezioni cosa mostrare e che, inoltre, lo renda più bello.
Tutta un’altra storia per i servizi di streaming audio: la musica che ascoltiamo è, invece, uno specchio che ci riflette. La scelta di un brano piuttosto che di un altro è espressione dello stato d’animo di quel momento o dell’attività che ci impegna, senza filtri o sovrastrutture.
Spotify, piattaforma che conta 140 milioni di utenti attivi (di cui, a luglio, 60 milioni gli abbonati), punta sull’essere la colonna sonora della vita di ciascuno, offrendo la musica più adatta al nostro umore o a una cena tra amici, all’attività sportiva, allo studio e a qualsiasi altro momento. Infatti, da un lato, vengono messe a disposizione dell’utente playlist per ogni occasione; dall’altro lato, viene data a ciascuno la possibilità di crearne di proprie.
Tutto ciò fornisce un’innumerevole quantità di dati che permette di comprendere quello che le persone stanno facendo e cosa provano; ciò va a beneficio anche degli inserzionisti. A tal proposito, come dichiarato al quotidiano Italia Oggi, Marco Bertozzi – vice president sales per l’Europa di Spotify – ha affermato che “noi siamo estremamente cauti nell’utilizzo dei dati dei nostri utenti”; prosegue poi dicendo che “i nostri ascoltatori stanno con noi tutto il giorno, oltre due ore al giorno in differenti situazioni […]. Usiamo l’audio e i video ma ciò che rende unico Spotify per gli inserzionisti è che possono parlare agli utenti sia che stiano guardando lo schermo sia che non lo stiano guardando”. Infatti, i 30 minuti di musica senza interruzioni vengono preceduti da uno spot audio e video, invece nella mezz’ora le pubblicità sono meno invasive, in quanto presenti solo sullo schermo.
I brand possono, quindi, sfruttare ciò che gli ascolti rivelano e strutturare le interruzioni pubblicitarie – cd. Branded Moments – in modo da raggiungere gli utenti free nel momento più appropriato. A riguardo, Bertozzi ha aggiunto che “tutti noi siamo diversi alle sette del mattino rispetto alle dieci di sera e i comportamenti di ascolto sono ugualmente differenti. L’investitore ha la possibilità di associare la sua comunicazione ai differenti momenti e umori”.
Un esempio è la campagna Gatored Amplify, dedicata al momento dell’attività fisica: il brand indirizza il pubblico ad un sito interattivo in cui è possibile impostare la durata della sessione di allenamento e creare, per il periodo esatto dell’attività, la propria playlist (cd. Branded playlist); inoltre, ha creato un mix musicale dedicato al brand e perfetto per lo sport. Un altro esempio riguarda il mondo dei viaggi, un altro “momento” particolarmente incline ad avere una playlist ad hoc. Spotify, in collaborazione con il gruppo lastminut.com e artisti internazionali, ha creato #MusicMakesYouTravel: una campagna che offre una piattaforma digitale con mappe interattive di dieci città del mondo e playlist che raccontano in musica l’anima e lo stile della città o dei vari quartieri.
L’intenzione delle inserzioni pubblicitarie, quindi, è di andare sempre più incontro all’utente, cercando di inserirsi al meglio nella quotidianità e indirizzandosi verso una maggiore personalizzazione, grazie alla quale anche le pubblicità – prima standardizzate – diventano sempre più su misura e interattive. (G.C. per NL)