Se è vero che quando si è stati sbollentati anche l’acqua fredda fa paura, non stupisce che se ci sono dei segnali positivi, per scaramanzia, si continua a dire che bene non va. Al più ci si squilibra nell’affermare che va “così e così”.
Eppur va detto che qualcosa si muove, non fosse altro perché è stufo di star (da troppo tempo) fermo. Fatto sta che nel settore tv c’è molta eccitazione a riguardo di nuovi prodotti nazionali o areali, complice anche la riduzione pregevole dei costi di trasporto, giunti ora a livelli compatibili con le probabilità di ritorno commerciale dei fornitori di contenuti. Anche in radio i soggetti più dinamici stanno registrando una rinnovata attenzione verso il medium. In questo caso, il principale ispiratore è l’appurato rallentamento dei new media, che non paiono fornire in autonomia agli investitori i riscontri troppo entusiasticamente ipotizzati. Si è, infatti, compreso che l’eterogeneo mondo dell’editoria via internet per emergere dal deep web ha bisogno della spinta dei media tradizionali. Del resto, si è calcolato che su internet sono raccolti 550 miliardi di documenti, mentre Google ne indicizza solo 2 miliardi, ossia meno dell’uno per cento. Di qui la constatazione che il web non basta per far conoscere il web, mentre la tv e la radio sono volani di conoscenza. Si avvera così la nostra antica profezia che i futuri inserzionisti di radio e televisione sarebbero stati i concorrenti-antagonisti del presente.