In pochi sanno (ed è il critico Aldo Grasso a riportarlo sulle pagine del “Corriere” di sabato 9 giugno, ndr) che quello che è stato uno dei più grandi registi televisivi italiani, iniziò con il cinema, precisamente con un film “cervellotico, statico e incomprensibile” (definizioni di Grasso che ebbe la fortuna di presentarlo al pubblico e alla critica alla sua uscita nelle sale), dal titolo “La piazza vuota”. Era il 1972. Prima di quell’esperienza, certo, Beppe Recchia (foto), uno dei grandi innovatori della tv di casa nostra, si era fatto le ossa nelle tv di provincia: cresciuto a Biella (nonostante fosse nato a Piacenza, il 21 maggio 1934), aveva mosso i primi passi a TeleBiella, prima di passare alla lombarda Antenna3. Proprio qui, ad Antenna3, aveva dato il via ad un genere di format tv che, negli anni ottanta, avrebbe fatto la fortuna della tv commerciale. Lo show si chiamava “Non lo sapessi ma lo so”, e annoverava, tra gli altri, comici del calibro di Massimo Boldi e Teo Teocoli (che, negli anni ottanta, avrebbero spopolato sul piccolo schermo nazionale). Si trattava di una parodia del varietà tradizionale, “alla Mike Bongiorno” o “alla Enzo Tortora” (con cui collaborò ed ebbe grande fortuna in seguito), con numeri di cabaret e avanspettacolo, in una cornice registica molto particolare, con ritmi frenetici ed inquadrature particolari, sghembe, tese ad osservare i minimi dettagli, spesso piccanti ed erotici: una sorta di nouvelle vague della regia televisiva, molto differente rispetto a quella della tradizione televisiva italiana. Tra la seconda metà degli anni settanta e tutto il decennio degli anni ottanta, Recchia firmò una serie lunghissima di grandi successi televisivi, dapprima in Rai e, successivamente, in Fininvest-Mediaset. Da “Portobello” con Enzo Tortora a “Canzonissima”, da “Drive in” (in stretta collaborazione con Antonio Ricci) a “La corrida”, passando per “Onda Libera”, programma in cui il regista lanciò, per la prima volta in tv, Roberto Benigni (1976): questi sono solo alcuni, certo i più rappresentativi, delle numerosissime trasmissioni che portarono Recchia al grande successo nazionale e la tv italiana ad una metamorfosi, funzionale all’evolversi della società, dei suoi usi e costumi, fino ad arrivare all’attuale forzatura di format e personaggi che popolano l’etere televisivo e la cosiddetta società dello spettacolo. Forse tutto questo a Recchia non piaceva più, quel genere di tv irriverente che egli stesso aveva contribuito a creare, aveva raggiunto punte che anch’egli considerava “spazzatura”, o “trash” come amano dire critici televisivi di professione e non. Forse anche per questo, oltre alla terribile malattia che è stata causa della sua prematura scomparsa all’età di 73 anni, da sei anni non lo si vedeva negli studi televisivi né di Cologno Monzese né di Viale Mazzini. L’ultima sua trasmissione è stata “Tacchi a spillo”, con Claudio Lippi e Michelle Hunziker, dopodichè è iniziato il periodo terribile. Oggi, i più grandi lo ricordano per “Portobello” o “Drive in”, i più piccoli per “Ciao Darwin” o “Beato tra le donne”. In ogni caso, tutti lo ricordano: per un regista di format televisivi non è certo una consuetudine. (Giuseppe Colucci per NL)