La pubblicazione dei miei appunti tratti dalla interessante discussione con i tecnici del Centro controllo Raiway di Monza comincia a smuovere i primi commenti dei DXer locali. Invito tutti a leggere quello di Andrea Russo in calce al post dell’altro giorno, in cui l’autore avanza più di una perplessità proprio sulla resa del digitale in termini di comprensibilità dei contenuti (perfino il digitale televisivo terrestre può andare in tilt quando passa un motorino!). Badate bene, questo è un punto fondamentale perché la vera value proposition, la forza della proposta del digitale è l’aumento della qualità e dell’efficienza nell’impiego di frequenze che grazie agli algoritmi di compressione potrebbero alla fine trasportare più contenuti di quanto non sia possibile con l’analogico. Se questa è la tesi del teorema, cerchiamo di capire come viene svolta e se l’assunto viene davvero dimostrato.
Un primo disclaimer: molti di quelli che frequentano questa pagina hanno l’orecchio particolarmente allenato alla comprensione di trasmissioni radio analogiche in condizioni di rumore, evanescenza e interferenza che risulterebbero inaccettabili per un ascoltatore normale. Tenete sempre bene presente questo punto, perché dovete farne la tara rispetto a tutto quel che segue qui.
Dirò subito che tra le tante cose che Aldo Scotti mi ha dato la possibilità di approfondire sul digitale c’è una sua affermazione che mi ha lasciato stranito (e che era emerso anche nell’incontro nella sede dell’Ordine degli ingegneri). Scotti sostiene che la decodifica del DRM è possibile anche con livelli di segnale molto bassi. Gli stessi livelli che non consentirebbero una sufficiente leggibilità dell’analogico. Ora, io ho sempre pensato – sulla base di osservazioni personali col DRM sulle onde corte e dell’evidenza in materia raccolta soprattutto dai DXer americani con IBOC – che le cose funzionassero esattamente al contrario: a una certa distanza, i test DRM delle onde corte non risultano più decodificabili, mentre con una trasmissione analogica abbiamo una soglia di comprensibilità molto più spinta, indipendentemente da quanto l’orecchio sia allenato o no. Certamente su questo aspetto influisce anche il fattore bitrate. Una trasmissione digitale ha due leve che possono modulare la copertura finale del segnale: posso trasmettere con più potenza o diminuire il bitrate e sacrificare un po’ di qualità per rendere le mie trasmissioni più facilmente codificabili. Il tema è ben noto allo stesso Scotti che lo ha esplicitamente citato. In campo analogico si agirebbe su potenza e livelli di modulazione, ma più o meno anche lì le leve sono due.
Il problema è che con bitrate elevati la nostra esperienza di ascoltatori (con orecchio allenato!) ci dice che l’analogico tende piuttosto a vincere la gara della distanza e quindi della copertura. Negli USA è ben conosciuta la difficoltà di sintonizzare e decodificare un segnale IBOC in AM a una certa distanza dal trasmettitore. Alla stessa distanza, i ricevitori analogici producono un audio più che accettabile.
La questione è assolutamente fondamentale perché su di essa poggia l’intero business case del digitale “in band” in sostituzione dell’analogico nelle bande AM (onde medie e corte) e dell’FM. La tesi dei fautori del digitale è che il digitale garantisce qualità ed efficienza, cioè migliore audio e più spazio per gli editori, consentendo per esempio la diffusione di multipli di programmi su un singolo canale. Io appartengo a un partito che non nega il ruolo fondamentale che il digitale può avere su bande di frequenza opportunamente assegnate e con il meccanismo del multiplex di programmi. Basterebbe una razionale implementazione del sistema T-DMB per assicurare una copertura nazionale e regionale a moltissimi network radiofonici, di questo sono più che sicuro.
Resta la questione del DRM o di IBOC, definiti da Scotti perfettamente complementari al T-DMB. Ha davvero senso spegnere le vecchie modulazioni analogiche a favore delle nuove? Anche perdonando la paradossale mancanza di apparecchi in grado di ricevere le nuove trasmissioni e tollerando l’idea di un mercato fatto di prodotti dieci volte più cari delle normali radio analogiche, avrebbe sicuramente senso se il discorso dell’efficienza reggesse. Se davvero un debole segnale digitale “funzionasse” meglio di un debole segnale analogico, il discorso filerebbe benissimo. Ma se al contrario il digitale debole non funzionasse? O meglio, se funzionasse solo con una forte riduzione del bitrate, mandando quindi a gambe all’aria la possibilità di trasmettere più programmi sulla stessa frequenza e l’intero discorso della qualità?
Se il quadro del digitale è quello che emerge dalle prove effettuate in questi anni negli ambienti degli hobbysti e dei radioamatori – e per il momento non ho visto confutazioni attendibili da parte dei fautori del digitale – io resto convinto della superiorità complessiva di una buona modulazione analogica, che potrebbe essere stereofonica sia in AM (nella porzione delle onde medie) sia in FM, con buoni ricevitori in grado di assicurare valide rese audio. Potremmo tranquillamente ipotizzare uno spettro dell’FM alleggerito dal peso dei network importanti migrati definitivamente sul digitale e contemporaneamente un segmento delle onde medie e corte dove l’uso ragionato delle potenze impegnate e il rigoroso rispetto delle regole di assegnamento delle frequenze potrebbe consentire abbastanza spazio per tutti. Perché rinunciare definitivamente all’uso dell’analogico in questi due ambiti? Perché non pensare semmai di estendere le porzioni di spettro assegnate ai servizi broadcast, in modo da consentire l’uso di modulazioni digitali in segmenti specifici, ma questo punto in modalità off band ripetto ai tradizionali segnali analogici? Se infatti c’è una cosa che rischia di scontentare proprio tutti è questo perverso impiego di bande affollate di programmi ricevibili da miliardi di persone a favore di una testarda sperimentazione digitale che non serve assolutamente a nessuno e rappresenta il punto più controverso di questa prima, infelicissima fase di implementazione del DRM. Se lo scopo è quello di disturbare la ricezione dell’analogico fino al punto di giustificarne lo spegnimento, ditelo. Oppure sperimentate le vostre modulazioni digitali in altro modo.
In definitiva la mia opinione è quella che segue. Una volta implementato una politica del digitale off band per i grandi network pubblici e commerciali, per l’insieme dei protagonisti della radiofonia locale, le stazioni comunitarie, le piccole emittenti di molti enti interessati (università, ospedali, aeroporti, centri commerciali), la disponibilità prolungata nel tempo di frequenze AM/FM analogiche potrebbe essere una soluzione capace comunque di assicurare partecipazione e pluralismo, buona qualità sonora ed efficienza nell’uso dello spettro. La sensazione però è che anche se questo scenario fosse attendibile, non avrebbe alcun impatto nelle sedi decisionali. Là dove probabilmente è già stato deciso che l’analogico debba essere – unico esempio di pensionamento anticipato in questa infelice congiuntura retributiva – mandato a riposo.