DVB-H? No’bbuono. E la RAI sposa il T-DMB

La Rai dice addio al Dvbh e alla strategia che vede la tv mobile incrociare la sua strada con quella dei telefonini


da Radio Passioni

Nel lungo articolo di Stefano Carli, che ha intervistato l’Ad di RaiWay Stefano Ciccotti per Affari & Finanza di stamattina, leggo che la RAI avrebbe voltato le spalle al DVB-H per sposare il T-DMB, con il quale intenderebbe coprire, con contenuti radiofonici e televisivi, almeno il 50% della popolazione italiana entro fine 2007.

Questo il testo dell’articolo

La Rai dice addio al Dvbh e alla strategia che vede la tv mobile incrociare la sua strada con quella dei telefonini. La lunga assenza di Viale Mazzini in questo settore lasciava immaginare ritardi e poca convinzione, o magari solo difficoltà economiche, ma la decisione presa ha tutti i crismi di una scelta strategica ben precisa. E che potrebbe forse anche avere, alla lunga, effetti sulle strategie di quanti sul Dvbh hanno invece puntato con forza. Primi tra tutti la Tre di Vincenzo Novari e Mediaset.
«Più che una scelta strategica direi che si tratta di una decisione quasi obbligatoria – spiega Stefano Ciccotti, amministratore delegato di RaiWay, la società Rai che gestisce tutte le infrastrutture di rete della tv pubblica – Realizzare una rete Dvbh con copertura nazionale di almeno l’85% della popolazione e con la capacità di portare il segnale dentro le case richiede un investimento di 300 milioni. La stessa copertura, anche indoor, con la tecnologia Dmb, che è sempre uno standard europeo, sviluppata sulla base del Dab, la radio digitale, costa 8 milioni. Già oggi siamo in grado di coprire con questa tecnologia il 40% della popolazione italiana e praticamente a costo zero».La Rai, insomma, punta ad una strada ‘minore’ alla tv mobile e si allea, in questo con i network radiofonici che vogliono entrare a loro volta nell’era digitale.
La chiave di volta di questo progetto si chiama Dmb. E’ una tecnologia europea, sviluppata a partire dallo standard Dab e portata avanti in particolare dall’industria coreana, Samsung in testa. Su un singolo canale da 1,5 MHz il Dmb consente di portare o 5 canali tv o una trentina di canali radio. O, ovviamente, un mix dei due. Ha un suo spazio frequenziale assegnato dalle divisioni Ue alla radio digitale. Con il primo standard Dab si faceva la radio e poco più.
Con il Dmb si riesce invece a far passare immagini di qualità televisiva pari al Dvbh. In Corea è lo standard ufficiale della tv mobile: il servizio è stato lanciato un anno e mezzo fa e ha ora circa 4 milioni di utenti. In Europa è sbarcato l’anno scorso, con i mondiali di calcio in Germania.
E la Germania ha fatto partire i test della tv mobile con entrambe le tecnologie. Anche Francia e Inghilterra stanno sperimentando test di tv mobile in Dmb. Questo moltiplicarsi di iniziative sta incentivando l’industria a produrre terminali a costi decrescenti.
Quelli che si trovano adesso in circolazione sono grandi come scatole di fiammiferi, anzi come mezzo telefonino: senza la tastiera numerica e con il solo display; più una piccola fila di bottoni sotto, un po’ come un piccolo joypad, per dare i comandi e una antenna estraibile in alto, come le vecchie radioline portatili. Il loro punto di forza è nel prezzo.
In Germania si trovano a prezzi che vanno da meno di 100 euro dei modelli più semplici, solo radio e tv ai 150 euro del modello che mette assieme anche le funzioni di Mp3 e Mpeg player, per sentire musica e vedere video conservati in una memoria da un giga.
La grande differenza di questo modello di business rispetto al Dvbh è che si basa su un’offerta completamente free, in chiaro. E questo è sia il suo vantaggio che il suo svantaggio. Trasmettendo senza codifica, il sistema non ha bisogno di appoggiarsi ad un sistema di identificazione, che nel caso del Dvbh è dato dalle sim dei telefonini. Ma questo significa anche dire addio ad un canale di ritorno che permette l’interattività e, prima ancora, la pay tv. Insomma, non si potranno vendere in questo caso contenuti premium, come per esempio i canali Sky, o contenuti in pay per view, come le partite di calcio.
In compenso ha dei costi di sviluppo che sono infinitamente più bassi del Dvbh.
La Rai ha puntato tutto in questa direzione per due ragioni. La prima è che pur essendo il soggetto che detiene più frequenze di tutti nel panorama dell’etere italiano, non ha frequenze libere da destinare alla creazione di una rete Dvbh perché tutte quelle che detiene in più rispetto, per esempio a Mediaset, sono destinate agli obblighi di copertura legati alle trasmissioni regionali. Dovrebbe quindi comprare frequenze ex novo e attrezzarle: e sono i 300 milioni stimati da Stefano Ciccotti.
La seconda ragione è che il Dvbh non sta crescendo così rapidamente come si era previsto. Una lentezza che sta pesando sui conti di Tre, i cui utenti di tv mobile a fine 2006 erano ben lontani dal mezzo milione sperato. Ma che pesa forse anche su quelli di Tim che paga un conto salato a Mediaset per l’affitto della frequenza e i diritti sui programmi. Soffre meno Vodafone che con Sky ha piuttosto un accordo di revenue sharing e quindi commisurato agli effettivi incassi, di cui si sa peraltro poco.
In più si sta facendo strada tra gli addetti ai lavori che la tv mobile non sia qualcosa che gli utenti tendono a vedere fuori casa, ma piuttosto una specie di tv personale che ognuno vuol vedere quando preferisce. Ecco quindi la necessità di portare la copertura anche all’interno delle case, cosa che il Dvbh fa a fatica e riempiendo le skyline delle città di ulteriori antennine, i cosiddetti gap filler.
Infine, il Dmb ha un costo ambientale inferiore perché funziona a potenze elettriche molto più basse di quelle richieste dal Dvbh.
Su questa strada la Rai, che si ritrova già in casa le frequenze adatte per il Dmb, ha poi trovato l’alleanza con il mondo radiofonico. Viale Mazzini ha costi stretto un accordo con Club Dab, il consorzio per la radio digitale formato dalle dieci emittenti nazionali che fanno capo alla Rna, con EuroDab, che raccoglie altre tre emittenti nazionali, e il CR Dab, consorzio di radio locali che fanno capo alla Frt, la Federazione delle imprese del settore radiotv.
I quattro soggetti metteranno assieme le frequenze di cui già dispongono e si sono dati tempi stretti. «Il mondo radiofonico ha dimostrato di sapere superare le divisioni del passato, c’è un rinnovato impegno comune, che ora comprende anche la Rai, e ora manca solo che ministero e Autorità per le Tlc facciamo la loro parte attuando pienamente il quadro regolamentare», commenta Sergio Natucci, segretario nazionale di Rna.
I tempi che i protagonisti si sono dati sono strettissimi. Entro agosto, tutta la zona di Roma sarà coperta con il segnale Dmb e saranno in onda tutti i programmi di Radio Rai, quelli delle maggiori emittenti nazionali private e di alcune grandi stazioni locali. In più saranno trasmessi tre canali tv: sicuramente uno Rai, e due privati, probabilmente a carattere musicale. Dopo l’estate la copertura arriverà a Milano e prima di Natale più della metà della popolazione italiana sarà stata coperta. E progressivamente si inizieranno a trovare nella grande distribuzione i primi modelli di ricevitori Dab/Dmb.
Parallelamente partiranno anche i primi nuovi servizi. A cominciare dalla cosiddetta Visual Radio: la possibilità di mandare immagini fisse occupando poca banda. Rai già sta testando un servizio legato al traffico autostradale: mostra le immagini riprese dalle webcam lungo la rete autostradale italiana. Ma si sta pensando anche a delle carte meteo.
Altre applicazioni possono riguardare, per esempio, la trasmissione della copertina del disco che sta andando in onda, o l’immagine del cantante. Oppure anche immagini pubblicitarie. Intanto già si pensa alla possibile integrazione delle funzioni di un navigatore. E in Gemania la Ford sta immettendo sul mercato le prime auto con sistema Dmb già installato a bordo.
Su tutto questo pende ora la presa di posizione del commissario Ue ai Media Viviane Reding. Anche se si tratta di un invito che non ha valore tassativo. Per diventare tale servirebbe un iter molto lungo e, a questo punto, visti gli investimenti in atto, non facilmente immaginabile.

Questo il commento di Andrea Lawendel (Radio Passioni)

Le parole di Ciccotti suscitano sorpresa perché arrivano praticamente poche ore dopo che Viviane Reding e tutta la UE avevano dichiarato il proprio impegno nei confronti del DVB-H come standard di riferimento per la TV mobile. E’ una situazione molto curiosa perché fino a poco fa anche la RAI, insieme ad altri broadcaster privati, aveva partecipato alla prima stagione di offerta DVB-H insieme agli operatori telefonici (sperimentazione HDTV e mobile TV a Torino, accordi con Tim e Vodafone – nel 2005 – per la trasmissione di eventi sportivi, accordo – sempre nel 2005 – con Tre). Ora sembra in effetti che il T-DMB sia diventato più appetibile per Mamma RAI. Non solo, ma neanche tanto tra le righe sembra quasi che si voglia far passare la televisione mascherandola da radio, visto che il T-DMB era stato annunciato mesi fa come il “boost” di una sperimentazione DAB che non è mai riuscita a concretizzarsi in una offerta di radio digitale seria e consolidata.
Ci sono alcune questioni tecniche che Affari & Finanza sembra confondere un poco. Si legge di “gap filler” per il DVB-H, mentre di solito i gap filler servono per estendere la copertura satellitare (lo fanno anche i coreani per l’S-DMB, cioè il DMB via satellite, che viene usato per veicolare un’offerta pay per view contrapposta alla free to air del T-DMB). Forse ci si riferisce ai microripetitori che servono a incrementare la “penetrazione” del segnale all’interno delle abitazioni, ma l’idea sembra un po’ contraddittoria con la ricezione in mobilità. La televisione fissa è sempre stata una tecnologia di diffusione “roof top”, perché già alle frequenze delle UHF occorre una antenna esterna per assicurare una certa qualità. Non ho motivo per dubitare quello che dice Ciccotti sui maggiori costi di copertura del DVB-H e può darsi che questo dipenda dalla necessità di realizzare molti microripetitori (chiamiamoli pure “gap filler”). Ma immagino anche che molto dipenda dal tipo di frequenze che uno intenda usare e questa scelta non è affidata alla RAI.
I coreani per l’S-DMB devono usare gap filler terrestri in aggiunta ai transponder satellitari che operano nella S-Band (2.633-2.650 GHz). Dalle informazioni che ho ricavato nella letteratura coreana sembra che i gap filler stessi debbano operare nella Ku-Band (12 GHz!) ma questo dato, che ho trovato sul portale T-DMB www.t-dmb.org, è da prendere con le molle, forse il testo si riferisce a due livelli di gap filler o alle frequenze di back-hauling o di redistribuzione del segnale a terra. Come che sia, i coreani prevedono 8.500 gap fillers per la copertura in aree urbane a difficile illuminazione satellitare. Per il T-DMB in Corea si usa invece la famigerata (in Italia) Banda III (i 200 MHz), che ovviamente assicura una buona copertura, anche dentro le case, ma che guarda caso ha penalizzato oltremodo la diffusione del DAB dalle nostre parti. Affari & Finanza e Ciccotti parlano della copertura delle grandi città italiane come se non ci fossero problemi di sorta. Ma quali frequenze intende utilizzare la RAI per il T-DMB? Se sono le stesse del DAB in banda III, mi piacerebbe tanto sapere perché la copertura dello stesso faccia così schifo dopo 15 anni di “sperimentazioni”. Se per caso RAI intende utilizzare solo la banda L (1,4 GHz) già prevista dal meccanismo delle licenze DAB voluto da Agcom, allora tutte le considerazioni sulla copertura all’interno delle case viene un po’ a mancare e il T-DMB si avvicina parecchio – anzi, quasi si allontana – alla normale televisione UHF roof-top (e a quel punto sarebbe non sarebbe molto meglio del DVB-H).
Si parla del DMB come se fosse un’invenzione coreana ma è sotto sotto questo “nuovo” standard somiglia molto all’europeissimo Eureka 147. Basta aprire il solito portale che i coreani hanno dedicato alla tecnologia DMB per leggere che la codifica audio video del sistema avviene secondo i protocolli di MPEG-4 AVC, BSAC e BIFS e il risultato viene multiplexato in pacchetti MPEG-2 TS. Questi pacchetti ricodificati dopo una opportuna “canalizzazione” vengono diffusi nello “stream mode” definito da Eureka 147. La RAI può fare tutti gli esperimenti che vuole, ma a quanto si sa il T-DMB, almeno in Europa, finora apparteneva più alla sfera della radio digitale (o della visual radio) che alla televisione mobile. Se a livello europeo viene deciso un forte commitment sul DVB-H (e – perché no – sul DVB-HS, cioè sull’handheld satellitare, su frequenze di 2,2 GHz), la RAI, come ente pubblico, non può certo fingere che il DVB-H non esista e farsi la sua tv mobile personale.
E’ possibile, mi chiede Antonio Tamiozzo, che alla fine si assista a una sostanziale divisione di campo tra un T-DMB utilizzato per la radio digitale dalla RAI e dai grandi network commerciali e tecnologie più “leggere” come FMeXtra usate per la digitalizzazione delle radio locali? In una proliferazione di standard come quella che si sta prospettando, è possibile. Ma io sono un po’ scettico sulla reale disponibilità, da parte del “sistema radiofonico” nazionale, a sposare col dovuto impegno tecnologie stile DAB. Che non è riuscito a sfondare in questi anni non certo perché gli ascoltatori storcevano il naso sui codec audio. Il DAB in Europa è riuscito a consolidarsi solo in nazioni dalla regolamentazione aperta ma forte, con precise strategie mediatiche di “sistema paese”. E’ possibile che l’Europa scelga anche per una sostanziale deregolamentazione, almeno a livello di scelta di standard, imboccando quindi una strada favorevole a un “ecosistema” di standard. “Andate e digitalizzatevi”, come meglio ritenete opportuno. Posizione che sembrerebbe molto più in linea con la nostra solita anarchia travestita da regolamento ex post… Ma alla fine, per indirizzare la radio verso il digitale sarà inevitabile imporre, se non uno standard unico, almeno delle date precise di transizione, il cosiddetto switch over. E questo, in Italia, è molto, difficile rebus sic stantibus. Alla fine la nostra anarchia può essere anche la soluzione più democratica. Se non ci fosse di mezzo il contesto regolamentatorio europeo…

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