In Italia, nell’ambito della transizione (“switchover”) dalla televisione analogica a quella digitale, in relazione alla quale pende tuttora una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nel 2006 si è reso necessario attribuire le frequenze (reti digitali o multiplex) ai vari operatori.
L’assegnazione dei multiplex è stata suddivisa in tre gruppi. In un primo gruppo sono stati collocati i multiplex riservati alla trasformazione delle reti televisive analogiche preesistenti in reti televisive digitali. Un secondo gruppo riguarda i multiplex da assegnare a operatori di rete che hanno investito nella creazione di reti digitali. Un terzo gruppo concerne le nuove frequenze supplementari, cioè il cosiddetto «dividendo digitale». Per quanto riguarda il terzo gruppo di frequenze, l’Agcom (autorità nazionale di regolamentazione) approvava, il 07/04/2009, una delibera in cui, stabiliva, per il dividendo digitale, una procedura finalizzata a consentire l’assegnazione a titolo gratuito dei diritti di utilizzazione delle frequenze a soggetti ritenuti idonei sulla base del possesso di determinati requisiti (cosiddetto beauty contest o gara non onerosa). Tale delibera era poi recepita dalla legge 88/2009 (legge comunitaria 2008). Nel gennaio 2012, il Ministero dello Sviluppo economico (Mise) sospendeva il cosiddetto beauty contest, che veniva poi definitivamente annullato dalla legge n. 44/2012, la quale disponeva, peraltro, che l’assegnazione del dividendo digitale doveva avvenire con gara onerosa. L’11/04/2013, l’Agcom adottava, di conseguenza, una delibera per l’aggiudicazione delle frequenze all’offerta economicamente più elevata a seguito di una gara con rilanci competitivi, con base d’asta fissata per ogni lotto a 30 milioni di euro. In tale delibera di gara onerosa veniva, tra l’altro, ridotto da cinque a tre il numero dei nuovi multiplex digitali da assegnare e veniva sancita l’esclusione dalla gara degli operatori di rete già in possesso di tre o più multiplex. Alla gara ha partecipato un solo concorrente, la società Cairo Network (titolare de “La7”) che è risultata aggiudicataria del Lotto 3 (canali 25 e 59) ed assegnataria dei diritti d’uso delle relative frequenze, giusto provvedimento del Mise del 31/07/2014. Per quanto riguarda la transizione dall’analogico al digitale delle frequenze dei primi due gruppi, l’Agcom, per ovviare ad una censura sollevata dalla Commissione nel quadro della procedura di infrazione, decideva di abbandonare il criterio di conversione originariamente previsto, detto “alla pari” (in base al quale a una frequenza analogica detenuta da un operatore doveva corrispondere una frequenza digitale), rispetto a Rai, Mediaset e Telecom Italia Media (ora Persidera) e ha invece stabilito di ridurre di una unità le frequenze analogiche che detenevano tali società. Dopo l’applicazione di questo criterio, quindi, Rai e Mediaset, inizialmente titolari di tre frequenze analogiche, hanno avuto due frequenze digitali, mentre Persidera Spa (operatore di rete costituito dall’unione di Telecom Italia Media Broadcasting, appartenente al Gruppo Telecomitalia, e Rete A, di proprietà del gruppo editoriale l’Espresso), inizialmente detentrice di due frequenze analogiche, ha ottenuto una sola frequenza digitale. Ai fini della conversione dall’analogico al digitale, quindi, non si è seguito un criterio proporzionale nella diminuzione numerica delle frequenze e, inoltre, il numero di partenza delle frequenze analogiche è stato determinato tenendo conto anche di quelle utilizzate dalla Rai e da Mediaset in violazione del diritto della concorrenza (in particolare, Rai 3 e Rete 4). La causa pregiudiziale C-560/15 proviene da un rinvio del Consiglio di Stato, adito (in secondo grado) da Europa Way S.r.l. e Persidera S.p.A., imprese già partecipanti al beauty contest, le quali hanno chiesto l’annullamento della gara onerosa bandita da Agcom per l’assegnazione del dividendo digitale. La causa pregiudiziale C-112/16 è stata sollevata, sempre dal Consiglio di Stato, nell’ambito di un contenzioso in cui Persidera contesta la decisione del Ministero, nonché quelle presupposte dell’Agcom, con cui le è stata attribuita una sola frequenza digitale in cambio di due frequenze analogiche che essa possedeva precedentemente. Il Consiglio di Stato, anche in considerazione del fatto che l’esito delle cause avrà importanti conseguenze economiche e che gli atti impugnati sono stati adottati in pendenza della procedura di infrazione contro l’Italia, ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia una serie di questioni tendenti, in ultima analisi, a stabilire se le regole nazionali:
– di assegnazione onerosa delle nuove frequenze digitali o dividendo digitale (causa C-560/15);
– e di conversione delle frequenze analogiche in frequenze digitali (causa C-112/16);
– siano compatibili con il diritto dell’Unione, in particolare con la direttiva quadro, con la direttiva autorizzazioni, con la direttiva concorrenza e con i principii di non discriminazione, trasparenza, libera concorrenza, proporzionalità e pluralismo dell’informazione. In data odierna, l’Avvocato generale Juliane Kokott (Germania) ha presentato, in ciascuna delle due cause, le proprie conclusioni.
L’avvocato generale rileva che il ministero per lo Sviluppo economico e il legislatore italiano non erano competenti, ai sensi del diritto dell’Unione, a sospendere e ad annullare il beauty contest indetto dall’Agcom: sia il ministero sia il legislatore hanno influito sul corso del procedimento dall’esterno e sulla scorta di mere considerazioni di natura politica, così violando l’indipendenza di tale autorità di regolamentazione. Per contro, secondo l’Avvocato generale, l’annullamento del beauty contest non ha comportato, di per sé, la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento: infatti, i partecipanti alla gara non potevano nutrire, per il solo fatto della partecipazione, alcun legittimo affidamento sull’esito del procedimento. Inoltre, nella gara onerosa non è stato violato l’obbligo di consultazione pubblica delle parti interessate (tra cui gli utenti e i consumatori), che sussiste in caso di riduzione del numero dei diritti d’uso da concedere per le radiofrequenze.
Se, infatti, è vero che, rispetto al beauty contest, nella gara onerosa i multiplex digitali banditi erano stati ridotti di due unità (come si è detto, si era passati da cinque a tre), è altrettanto vero che non il legislatore, ma l’Agcom, nell’esercizio delle sue funzioni di regolamentazione, aveva disposto tale riduzione. Pertanto, da un lato, il legislatore non era tenuto ad effettuare alcuna consultazione e, dall’altro, l’Agcom, nel corso della seconda procedura di gara (quella onerosa), risulta avere effettuato le necessarie consultazioni. Quanto alla procedura onerosa, l’Avvocato generale sottolinea che la scelta se in uno Stato membro le frequenze televisive digitali debbano essere assegnate gratuitamente o a pagamento è una decisione di principio di natura politica che non rientra nelle funzioni di regolamentazione riservate all’Agcom e quindi ben poteva essere adottata dal legislatore nazionale. Agli Stati membri spetta, infatti, un certo potere discrezionale in sede di assegnazione delle frequenze, il quale deve tuttavia essere esercitato nel rispetto dei principii generali di non discriminazione, di trasparenza e di proporzionalità sanciti dal diritto dell’Unione; al riguardo, gli Stati devono inoltre osservare una gestione e un uso efficienti delle frequenze, nonché tenere debitamente conto del principio della libera concorrenza e del pluralismo dei mezzi di informazione. Un’assegnazione di frequenze a titolo oneroso, quindi, non solo non è vietata dal diritto dell’Unione, ma, per l’Avvocato generale, non è affatto una possibilità remota. L’Avvocato generale ritiene, poi, che non viola il diritto dell’Unione una disciplina nazionale che riserva solo un numero limitato di frequenze digitali agli operatori di rete minori e a nuovi operatori (come è accaduto per le frequenze del terzo gruppo, con il beauty contest prima e con la gara onerosa dopo) mentre riserva un altro numero di frequenze alle imprese già operanti sul mercato (i cosiddetti «incumbents», ossia la Rai e Mediaset). Invero, tale disciplina persegue l’esigenza di assicurare la continuità dell’offerta televisiva in Italia e di premiare gli investimenti già effettuati nella tecnologia digitale. Con riferimento a tale obiettivo, le imprese già attive sul mercato televisivo e le imprese che penetrano per la prima volta su tale mercato non si trovano in una situazione sovrapponibile. Pertanto, non emerge una discriminazione fra questi due gruppi di imprese. Anche la riduzione delle frequenze da assegnare del dividendo digitale – due multiplex in meno, che passavano quindi da cinque a tre – è, secondo l’Avvocato generale, compatibile, quantomeno in astratto, con il diritto dell’Unione. Tale riduzione è dovuta ad una duplice circostanza: da un lato, determinate frequenze, in forza di consultazioni nell’ambito dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni (UIT), non dovevano più, d’ora in poi, essere a disposizione della televisione, bensì dovevano essere riservate alla telecomunicazione. Dall’altro, determinate frequenze presentavano un serio rischio di interferenze dannose. Spetta al giudice del rinvio verificare se tali affermazioni siano vere. Le summenzionate esigenze (considerazione delle consultazioni dell’UIT e prevenzione di interferenze dannose) rispondono all’interesse generale e, se accertate come effettivamente esistenti, possono giustificare una riduzione dell’offerta di frequenze televisive digitali, a condizione che le frequenze del dividendo digitale residue siano sufficienti a soddisfare il principio della libera concorrenza e il pluralismo dei mezzi di informazione, nonché a consentire in misura significativa nuovi ingressi nel mercato.
Per l’Avvocato generale, in sede di verifica della proporzionalità della riduzione da cinque a tre delle frequenze digitali del terzo gruppo (dividendo digitale), il giudice nazionale sarà tenuto a valutare se, anziché tale riduzione, sarebbe stato egualmente o maggiormente efficace, per perseguire i suddetti obiettivi, intervenire sui multiplex del primo o del secondo gruppo. Non si può, infatti, escludere che, in particolare nell’ambito del primo gruppo, la Rai e Mediaset abbiano ricevuto un numero eccessivo di frequenze digitali, cosicché, in tale ambito, una riduzione dei multiplex da assegnare avrebbe probabilmente avuto conseguenze meno incisive per la concorrenza sul mercato televisivo e per il pluralismo dei mezzi di informazione che nell’ambito del terzo gruppo (o dividendo digitale). Nel caso in esame, l’Avvocato generale esamina la situazione della Rai, di Mediaset e di Persidera con riferimento all’assegnazione dei multiplex del primo gruppo. Essi dovevano essere attribuiti unicamente ad operatori di rete che già in precedenza detenevano canali televisivi analogici. A tutti gli operatori di canali televisivi analogici in Italia è stato applicato lo stesso metodo di conversione per l’attribuzione dei canali digitali, descrivibile con l’operazione algebrica: l’Avvocato generale ritiene che il suddetto metodo di conversione abbia in concreto svantaggiato Persidera, la quale, diversamente dai due grandi operatori Rai e Mediaset, diffondeva fino a quel momento non tre bensì solo due canali televisivi analogici. Rai e Mediaset hanno infatti fruito di un tasso di conversione pari al 66,67 % (ricevendo 2 multiplex ciascuna contro i tre canali analogici precedentemente posseduti) mentre Persidera ha avuto un tasso di conversione soltanto del 50 % (ricevendo 1 multiplex contro i due canali analogici prima posseduti). In tal modo, i due leader del mercato ottengono, rispetto al numero dei canali televisivi analogici già posseduti, più frequenze digitali dei loro concorrenti minori.
Per l’Avvocato generale, quindi, tale criterio di conversione è contrario al principio di non discriminazione e alle regole sulla concorrenza, a meno che non sia l’unico modo possibile (ciò che il giudice nazionale dovrà verificare) per perseguire obiettivi legittimi di interesse generale, quali, in astratto, la garanzia della continuità dell’offerta televisiva nell’interesse degli utenti e la salvaguardia dell’indivisibilità delle frequenze televisive. Si pone pertanto al giudice nazionale la questione se l’assegnazione di un unico multiplex digitale a ciascuno dei due maggiori operatori non sarebbe già stata sufficiente a consentire alla Rai e a Mediaset la prosecuzione della loro offerta televisiva. Una fornitura in eccesso a favore dei due leader del mercato, ossia RAI e Mediaset, sarebbe infatti contraria sia ai principii di proporzionalità, di pluralismo dell’informazione e di libera concorrenza. L’Avvocato generale sottolinea che il principio di libera concorrenza verrebbe violato in maniera particolarmente grave qualora il Consiglio di Stato dovesse accertare effettivamente che, in sede di conversione delle frequenze, sono stati presi in considerazione anche due canali televisivi esercitati illegittimamente, in violazione delle regole della concorrenza, ossia «Rai 3» e «Rete 4». In tal caso, neppure l’esigenza di consentire la prosecuzione dell’offerta televisiva sarebbe sufficiente a giustificare la ricordata disparità di trattamento a svantaggio di Persidera. Quanto all’indivisibilità delle frequenze, l’Avvocato generale osserva che essa andrà accertata dal giudice nazionale (non potendosi escludere che un unico multiplex possa essere destinato a più canali televisivi di diversi fornitori o utilizzato da diversi fornitori in base a turni prestabiliti ecc…). In ogni caso, la salvaguardia dell’indivisibilità delle frequenze non è sufficiente a giustificare una disparità di trattamento fra Rai e Mediaset, da un lato, e Persidera, dall’altro. (E.G. per NL)