Il caso Europa 7 tiene ancora banco, almeno nelle aule giudiziarie. Se l’infatti il network romano sta vivendo una situazione difficilissima sul piano economico, con la rete di diffusione in default, la UE ha rilevato come il nostro paese non abbia ancora risolto la vicenda che la coinvolge da 15 anni.
Nel merito, si ricorderà che la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con sentenza del luglio 2012, aveva riconosciuto all’imprenditore 10 milioni di euro per danni materiali e morali (contro una richiesta di due miliardi di euro). Secondo la Corte, nel non assegnare le frequenze a Europa 7, le autorità italiane non avevano rispettato "l’obbligo prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo per garantire l’effettivo pluralismo dei media". L’Italia era stata quindi condannata per aver violato il diritto alla libertà d’espressione e all’emittente televisiva era stato riconosciuto il diritto a un risarcimento per danni morali e 100 mila euro per le spese legali sostenute per presentare il ricorso a Strasburgo. Era così arrivata al suo epilogo una storia cominciata nel luglio del 1999, quando Europa 7, in base alla legge n. 249 del 1997, aveva ottenuto la concessione per trasmettere attraverso tre frequenze per la copertura dell’80% del territorio nazionale. Tuttavia l’emittente ebbe l’effettiva possibilità di iniziare a trasmettere solo nel 2009 e su una sola frequenza. Nel condannare l’Italia, la Corte aveva sottolineato come, avendo ottenuto la licenza, Europa 7, potesse "ragionevolmente aspettarsi" di poter trasmettere entro massimo due anni. Ma non aveva potuto farlo perché le autorità avevano interferito con i suoi legittimi diritti con la continua introduzione di leggi che avevano via via esteso il periodo in cui le televisioni che già trasmettevano potevano mantenere la titolarità di più frequenze. Nondimeno, la Corte europea dei diritti umani, nel condannare l’Italia per non aver concesso le frequenze a Europa 7, aveva deciso di non prendere in esame l’accusa rivolta a Mediaset. Nel suo ricorso, Di Stefano sosteneva infatti che sia le leggi varate dal governo per far slittare la data in cui Mediaset e Rai avrebbero dovuto cedere le loro frequenze che le decisioni del Consiglio di Stato in merito alla questione dell’allocazione delle frequenze e del risarcimento di un milione di euro a Europa 7, erano frutto di una volontà di favorire le reti di Silvio Berlusconi. Una tesi però respinta dalla Corte di Strasburgo, che aveva deciso di non procedere all’esame delle ipotesi di discriminazione subita da Europa 7 in rapporto a Mediaset e di conflitto di interessi rispetto alle leggi varate negli anni per l’allocazione delle frequenze. Inoltre, la Corte aveva stabilito che la procedura svoltasi davanti al Consiglio di Stato e le decisioni prese in quella sede erano state frutto di un processo equo, così come prescritto dall’articolo 6 della convenzione europea dei diritti umani. Ora, preso atto della persistenza dell’inadempimento, il Consiglio d’Europa ha chiesto al Governo italiano di presentare, entro il primo settembre, un resconto di quello che è stato posto in essere (ovvero gli ostacoli per poterlo fare) per dare seguito all’ordine giudiziale sovranazionale "per eseguire la sentenza". Intanto la tv opera in regime di concordato preventivo autorizzato dal tribunale di Roma a seguito dell’istanza presentata il 2 luglio 2013 da Centro Europa 7. "Non gettiamo la spugna, ma 14 anni di battaglie si sentono tutti e non restava che questa soluzione", aveva dichiarato all’indomani dell’accoglimento dell’istanza l’azionista di riferimento e presidente del CdA Di Stefano. Le difficoltà del resto evidenti: nell’ultimo bilancio disponibile (quello del 2011) CE7 presentava perdite per 4,4 mln di euro e debiti per 34,2 mln, a fronte di un irrisorio fatturato di 0,3 mln euro. A nulla erano valsi i tentativi di competere con gli altri fornitori di servizi media audiovisivi in DTT sulla tecnologia, sperimentando e proponendo per primi il DVB-T2 o sui contenuti, concorrendo per i diritti di alcune squadre di calcio della serie A e di tutta la B per il triennio 2012-2015 (dopo la chiusura della piattaforma Dahlia). "Ora speriamo che la gestione degli impianti di trasmissione, attraverso la controllata Europa Way, possa aiutarci ad uscire dalla impasse –aveva spiegato Di Stefano alludendo a contratti di trasporto con terzi content provider -. Ma non potevamo fare altro. Con la crisi economica italiana pure le attività all’interno dei nostri studi televisivi si sono ridotte molto, aggravando ulteriormente la situazione. Dopo 14 anni di battaglie, le dico la verità: mi sono anche stancato di parlarne", aveva sconsolatamente concluso l’imprenditore romano. (E.G. per NL)