Come più volte anticipato dalle pagine di questo periodico, i dati d’ascolto delle tv locali, nelle regioni in cui la migrazione al digitale è già avvenuta, cadono in picchiata.
Ma non si tratta solo degli ascolti, le ragioni per cui l’arrivo del dtt sta mettendo in ginocchio l’emittenza locale sono molteplici. Il calo degli investimenti pubblicitari, ad esempio, era da considerarsi fisiologico, data l’incertezza regnante e le difficoltà che le emittenti avrebbero certamente incontrato (e, infatti, stanno incontrando) nel tornare ai livelli d’ascolti precedenti il passaggio al digitale. Il crollo vistoso e preoccupante degli ascolti è dovuto in parte, infatti, a problemi legati ai ritardi e agli errori nell’assegnazione della numerazione automatica (LCN), ma anche al moltiplicarsi dei canali che ha avuto l’effetto non solo di spalmare i dati d’ascolto ma, anche grazie alla scarsa avvedutezza degli editori, di provocare ridondanze di contenuti causate dalla necessità di riempire nuovi spazi e dalla mancanza di accordi incrociati per scambiare capacità trasmissiva. Più spese (incluse quelle per la migrazione), meno ascolti e grande confusione tra i telespettatori (i quali paiono non aver ancora interiorizzato i cambiamenti nelle regioni migrate al dtt negli ultimi dodici mesi), stanno mettendo alle corde l’editoria locale. La quale, per bocca di Maurizio Giunco, Presidente dell’Associazione Tv Locali FRT (Federazione Radio Televisioni), rivolge un appello al ministro Romani con il fine di ottenere maggiori finanziamenti dallo Stato, per non rischiare l’estinzione. Ma veniamo ai dati d’ascolto. Una delle regioni dove l’emittenza locale è storicamente più diffusa è la Campania, passata al digitale nel dicembre 2009. Ecco, i numeri accumulati nell’ultimo anno sono agghiaccianti: Telecapri, che nell’ottobre dello scorso anno contava oltre un milione di contatti nel giorno medio, ha visto i propri numeri dimezzarsi, perdendo negli ultimi dieci mesi il 45% dei propri spettatori che, il mese passato ammontavano a poco meno di 600mila. Stesso discorso per altre emittenti campane minori, i cui cali vertiginosi variano tra il -61,6% di Teleoggi Canale 9 e il più misurato -26,1% di Tele A. Situazione analoga nel Piemonte occidentale, che ha registrato lo switch off delle province di Torino e Cuneo nell’ottobre dell’anno scorso (la parte orientale della regione migrerà, assieme alla Lombardia, alla fine di novembre). Telecity Piemonte, la prima tv piemontese per dati d’ascolto, ha già perso il 38% dei propri spettatori, nonostante nelle province orientali la si possa ancora (per poco) vedere con il segnale analogico. Altrettanto dicasi per le altre reti, i cui cali sono compresi nella forbice tra il -22,8% di QuartaRete e il -42% di AltaItalia Tv, mentre Telecupole riesce a tenere, perdendo soltanto il 3%. Ciò che attende, quindi, le tv locali di Lombardia e Veneto, alla vigilia dello switch off, è uno scenario apocalittico. In più, le due regioni settentrionali ospitano alcune tra le emittenti territoriali più diffuse e radicate, come Telelombardia e Telepadova, che in analogico superano regolarmente il milione di contatti giornalieri. Un segnale incoraggiante, però, arriva dalla Sardegna, la prima regione a spegnere il segnale analogico, nell’oramai lontano ottobre 2008. Lì, a fronte di un calo fisiologico iniziale – come sta accadendo in Campania e Piemonte – le locali si stanno via via riprendendo. Videolina, l’emittente più significativa del territorio, aveva perso il 30% circa d’ascolti dopo un anno in digitale. Al secondo giro di boa, lo scorso ottobre, ha fatto segnalare una ripresa del 7,2%, che vuol dire che, passata la confusione iniziale, gli spettatori iniziano pian piano ad abituarsi al nuovo sistema. A dire il vero, però, secondo quanto si evince da alcuni forum presenti in rete in cui cittadini comuni discutono del passaggio alla tv digitale, non solo la confusione generata dal moltiplicarsi dei canali e la difficoltà a rintracciare le emittenti con la nuova numerazione sono alla base del calo d’ascolti dell’emittenza locale. La possibilità di fruire liberamente di alcuni canali nazionali, come ad esempio RaiSat Cinema, RaiStoria e altri, fino a poco tempo fa sintonizzabili esclusivamente sul satellite, sta attraendo molti spettatori che precedentemente, stanchi delle monotonia delle reti Rai e Mediaset in chiaro, vedevano le locali e che, oggi, a fronte di un’offerta nazionale più ampia, si concentrano su altri canali. Infine, l’appello di Maurizio Giunco, Presidente dell’Associazione Tv Locali FRT, che la scorsa settimana ha scritto a Romani per ricordargli l’art.10 della Legge 422/93 (dalla quale ebbe origine la Legge 448/98), che prevedeva stanziamenti di somme di denaro pubblico da destinare all’emittenza locale, e chiederne l’applicazione. Perché, come si diceva inizialmente, la crisi del settore non è originata solo dal calo d’ascolti ma l’intero sistema sta vivendo una fase d’incertezza – e di crisi economica – per cui molte emittenti, ad esempio nel Lazio (dove FRT ha sollecitato il rifinanziamento da 26 milioni di euro del bando televisivo già emesso dalla Regione Lazio), sono state costrette a chiudere. “Il prolungarsi della crisi economica – scrive Giunco – unitamente alla oggettiva difficoltà di riposizionamento delle tv locali nel nuovo scenario del digitale terrestre, certamente non agevolato da alcuni interventi “istituzionali” quali la soppressione delle provvidenze all’editoria, il nuovo piano nazionale delle frequenze e la tardiva regolamentazione dell’LCN, rischia seriamente di far chiudere i battenti a molte tv locali”. “Emerge chiaramente – continua – l’esigenza vitale di un maggiore sostegno economico alle imprese del settore. Per questo motivo – conclude – Le chiedo di voler intervenire affinché l’ammontare complessivo del contributo previsto per il triennio 2010-11-12, sia portato quantomeno a 150 milioni di euro, somma indispensabile per agevolare il processo di digitalizzazione e garantire la sopravvivenza dell’emittenza locale in attesa della ripresa dell’economia”. Il provvedimento citato, infatti, approvato nel 1993, parlava di un finanziamento annuo da stimarsi in circa 270 miliardi di lire, da far crescere di pari passo con l’aumento percentuale del canone Rai, aumentato in questi diciassette anni, del 39%. Invece dei 250 milioni di euro previsti per legge, quindi, pare, secondo Giunco, che per il 2011 siano stai stanziati appena 60 milioni. Una somma che garantirebbe l’estinzione di molte piccole emittenti. (G.C. per NL)