Si è tenuto ieri a Roma il convegno Asstel – quella che è stata ribattezzata come la prima vera assise italiana degli operatori telefonici – che ha visto la partecipazione, oltre che dei player delle tlc, di esponenti del mondo industriale e confindustriale, della politica e dei sindacati.
All’incontro è intervenuto Paolo Romani, neo ministro allo Sviluppo Economico che, a proposito dell’imminente asta che assegnerà agli operatori telefonici le frequenze che si stima saranno lasciate libere dal passaggio al digitale dalle emittenti tv locali, ha posto al centro della discussione due punti chiave. Il primo è che entro l’anno (quando – si confida – il 70% del Paese sarà già digitalizzato) si potrà disporre di tutti i termini dell’asta che, secondo Romani, dovrà essere il più alta possibile per consentire allo Stato di incassare una buona somma di denaro. “Non mi esprimo in cifre – ha detto a riguardo il ministro – ma ricordo che la Germania, che comunque è un’altra realtà, ha incassato oltre quattro miliardi”. La stima ritenuta attendibile, di cui si è parlato insistentemente in questi giorni, è stata di 3 miliardi di euro. Ma, realisticamente parlando, secondo gli operatori, il "dividendo digitale” non porterà più di 2 miliardi. Soldi che, seppur non completamente, verranno reinvestiti nel settore delle telecomunicazioni, come ha promesso Romani. Le somme incassate, ha detto, "dovrebbero andare non solo a finanziare ciò che il governo può immaginare utile in altri campi, una parte infatti andrebbe reimpiegata proprio per il settore delle telecomunicazioni che è chiamato ad investire”. L’idea, ovviamente, piace molto ai colossi delle tlc, che gongolano. In particolare, come ha ricordato il sito del Sole 24 Ore, il dividendo dovrà essere utilizzato per finanziare il progetto Next Generation Network, la rete fissa a banda ultralarga. Nel corso del convegno, sono intervenuti anche Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom, ed Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Il primo ha raccomandato che i fondi incassati dallo Stato vengano utilizzati per lo sviluppo della fibra ottica ("l’Italia sta peggio di alcuni Paesi dell’Africa sub-Sahariana”, ha detto), bacchettando poi il Ministero perché, se venisse offerto un incentivo alle tv locali per abbandonare le frequenze, queste lo farebbero in tempi più rapidi. La Marcegaglia, invece, si è lasciata andare a grossi elogi per il settore, definito un "volano di sviluppo straordinario, un driver di crescita, innovazione e occupazione per il paese”, cui Confindustria darà grande risalto nella sua agenda economica. Ma ha avvertito: bisognerà dare al settore delle regole chiare, per evitare che "sia caricato di ulteriori fardelli e costi che nulla c’entrano”. Quel che però non è chiaro, è come la banda interessata, cioè i canali UHF da 61 a 69, assegnati in questi giorni tra mille difficoltà e polemiche alle emittenti locali nell’Area Tecnica 3 (Lombardia e Piemonte orientale), potranno andare all’asta, visto che una buona parte degli operatori televisivi potrebbe non essere interessata a mollare l’assegnazione appena conseguita anche a fronte di un corrispettivo economico rilevante. Più probabile, quindi, che ad essere ricollocate sul mercato delle tlc saranno quelle frequenze (non necessariamente delle emittenti locali) che, assegnate ma non utilizzate nell’arco di un anno (sei mesi concessi dalla determina ministeriale per l’attivazione e sei mesi di tempo decorrenti dalla successiva diffida a provvedere da parte del MSE-Com) torneranno nella disponibilità dello Stato. E se, alla fine, la soluzione (certamente meno traumatica, più economica e giuridicamente tutelabile) sarà questa, è bene che tutti i network provider abbiano ben chiaro il rischio che corrono: dal momento dell’assegnazione scatta il timer per la restituzione delle frequenze in caso di inutilizzo. Operatore avvertito… (L.B. per NL)