Ieri sera Mi manda Rai Tre ha dedicato una puntata alle incertezze del digitale terrestre. Non si è trattato dell’autoincensamento di Porta a porta di giovedì, ma la sostanza dell’intervento di Paolo Romani, viceministro al MSE in collegamento da Milano, è stata la stessa: nessun problema reale e se c’è è colpa degli altri.
In studio vi erano diversi telespettatori piemontesi e sardi oscurati della televisione terrestre, mentre un collegamento esterno ha portata alla ribalta i guai di Limone Piemonte, una cittadina della provincia di Cuneo che, dallo switch-off, è priva della ricezione dei programmi RAI. Sul punto c’è stato uno sconfortante battibecchi tra Romani e la portavoce dei cittadini piemontesi. Con un fare fastidioso Romani, ha “ordinato” ai suoi (e anche non “suoi”, come RAI) di rimuovere i problemi entro la settimana prossima ed alla telespettatrice di presentarsi al programma per dichiarare l’avvenuta risoluzione della brutta situazione. Deludente. Bravi invece i responsabili RAI presenti, che hanno fatto i salti mortali per cercare di capire quali fossero le cause di alcuni problemi lamentati: cosa non facile potendo solo ipotizzarne le ragioni. Non convincente, invece, l’intervento di DGTvi, che, in definitiva, non ha saputo spiegare quali concretamente sarebbero i vantaggi dei decoder “bollati”, che presentano in molti casi gli stessi problemi, se non peggiori, degli zapper da venti euro. Occasione mancata per chiarire i vantaggi del "decoder-unico", liquidato da Romani (che evidentemente pensava che si puntasse a parlare di un, ovviamente impensabile, "unico-decoder") come sostanzialmente inconferente con l’argomento delle difficoltà connesse all’eterogeneità dei ricevitori digitali che rendono complessa una spiegazione preventiva del funzionamento all’utenza meno preparata a livello tecnologico. Eppure in tutta la trasmissione lo spettro del decoder-unico è aleggiato: come mai l’utenza televisiva – compresa quella che si sapeva sarebbe rimasta oscurata allo switch-off – è stata martellata da inviti all’acquisto di ricevitori digitali terrestri, salvo poi essere spinta (davanti al black-out) ad acquistare un…nuovo decoder Tivùsat?. Quindi, per buona pace di Romani (foto), il decoder-unico c’entrava eccome. Sorge quasi il dubbio che al viceministro sfugga la finalità complessiva del decoder-unico. L’obiettivo di principio non è, evidentemente, solo quello di avere un ricevitore multipiattaforma (sat, dtt e, in prospettiva, per la tv su banda larga). Probabilmente dimentica, Romani, il contenuto della direttiva 95/47/CE (il primo impulso, appunto, al decoder-unico, visto che risale all’ottobre 1995!) che vincola i governi europei a garantire la piena ricezione dei programmi tv in chiaro e, considerato l’elevato numero di canali digitali, impone una fruizione completa di tali programmi attraverso la fornitura all’utente di un aiuto di base. Come può essere conseguito tale obiettivo se non attraverso uno schema comportamentale univoco degli apparati (a prescindere dal modello)? E cosa è il decoder-unico se non l’insieme di principi di base per un ricevitore massimamente ergonomico e non certamente e banalmente solo multistandard? Non si va forse verso l’uniformazione anche del telecomando? Triste scaricabarile, poi, sul tema degli impianti ex art. 30 D. Lgs. 177/2005: dato atto (e ci mancherebbe altro) che la motivazione dell’ottenebramento di intere “valli laterali” è nel fatto che gli impianti analogici degli enti locali diventano fuorilegge il giorno dello switch-off senza che possano essere contestualmente convertiti al DTT, Romani non ha colto di buon grado la responsabilità del suo dipartimento a riguardo, passando la patata bollente in mano agli enti locali ed ai responsabili RAI in studio (che c’entravano come il cavolo a merenda col problema). Stupisce che il viceministro al MSE, in un intervento televisivo pubblico sulla sua materia, abbia placidamente trasvolato sul fatto che con tutta la buona volontà degli enti pubblici o dei broadcaster, i microimpianti non possano essere riattivati su base non interferenziale con i legittimi occupanti dello spettro radioelettrico senza la preventiva autorizzazione ministeriale. A meno che si punti all’anarchia nell’etere.