Pochi se se ne sono accorti, ma la Legge di Bilancio 2018 (L. 205/2017) contiene il seme di una rivoluzione copernicana in tema di assetto tecnico della tv terrestre.
Il sistema italiano del digitale televisivo terrestre è arrivato ad oggi ad una scarsa applicazione del principio (che avrebbe dovuto essere il cardine del modello della tv numerica) della separazione dei ruoli tra operatore di rete (network provider, titolare dei diritti d’uso) e fornitore di contenuti (fornitore di servizi di media audiovisivi, FSMA, titolare dell’autorizzazione come content provider e relativo LCN).
Nella maggior parte dei casi, i titolari di autorizzazioni FSMA nazionali e locali coincidevano (formalmente o sostanzialmente) con gli assegnatari dei diritti d’uso allo sfruttamento dei canali del DTT.
Ora però, come noto, i canali della banda 700 MHz (694/790 MHz, corrispondente ai canali 49/60 UHF) saranno destinati dal 2022 (in realtà alcuni dovranno essere liberati prima) allo sviluppo del 5G (il cui roll-out è previsto per il 2025); fin qui nulla di non abbondantemente esternato in precedenza (quantomeno su queste pagine).
Relativamente chiaro ai più è poi che tutti i diritti d’uso rilasciati (compresi cioè quelli dei canali esterni alla banda 700 MHz) verranno revocati e saranno riassegnati quelli dal 21 al 48 UHF. E qui cominciano a presentarsi alcune difficoltà di interpretazione.
Mentre, infatti, nella L. 205/2017 è scritto a chiare lettere che tutti gli operatori di rete locali saranno indennizzati a fronte della restituzione di diritti d’uso che avrebbero dovuto essere ventennali (e già ci sarebbe da imbastire una disquisizione sul punto) e i residuali canali (da scegliersi tra i 14 canali UHF più uno in VHF) a disposizione per la tv digitale terrestre (di seconda generazione, T2 o Hevc) areale assegnati con gara di beauty contest (cioè sulla base di progetti imprenditoriali sottoposti al vaglio della P.A.), salvo il caso del mux RAI regionale destinato a priori alla veicolazione anche di contenuti locali privati, non è del tutto chiaro il processo relativo alla gestione delle frequenze da parte dei player nazionali.
Il comma 1031 dell’art. 1 della legge 205/2017 (cui abbiamo già dedicato una approfondita disamina) prevede infatti che “i diritti d’uso delle frequenze di cui sono titolari alla data di entrata in vigore della legge in disamina gli operatori di rete nazionali sono convertiti in diritti d’uso di capacità trasmissiva in multiplex nazionali di nuova realizzazione in tecnologia DVB-T2, secondo i criteri definiti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni entro il 30/09/2018 ai fini dell’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze“. Più facile scriversi che a farsi.
Infatti, assumendo che il T2 (Hevc) offre una moltiplicazione della capacità trasmissiva rispetto allo standard T1 (SD) e che oggi Mediaset, RAI e Persidera dispongono di 5 mux a testa, mentre Retecapri, DFree (Prima TV), Europa Way (Europa 7), H3G (La 3) e Cairo (La 7) ne hanno uno a testa, significa necessariamente ipotizzare soluzioni aggregate e non già gestione totalmente in proprio della capacità trasmissiva.
Ma EI Towers (gruppo Mediaset, così come Elettronica Industriale, che gestisce i multiplex Mediaset 1,2,3,4,5 e in precedenza Mediaset 6) offre anche infrastrutture agli altri operatori (Cairo, DFree, La 3 e Retecapri) ed è di fatto un operatore di rete “over”, nel senso che va oltre il business della vendita di capacità trasmissiva, ponendosi ad un livello differente (Raiway invece opera in forma captive per la gestione delle sole reti RAI in nazionale, mentre offre servizi infrastrutturali quasi esclusivamente a player locali).
Non è quindi difficile ipotizzare un ruolo da parte del Biscione come collettore o “agevolatore” di almeno un’unità a partecipazione “diffusa” dove ciascun (ex) network provider titolare in proprio di diritti d’uso diverrebbe una sorta di socio di capitali con facoltà di commercializzazione di una porzione di capacità trasmissiva discendente dal canale assegnato.C’è però la variante Persidera, i cui mux devono necessariamente essere alienati in ossequio alla nota vicenda Telecom Italia/Vivendi: si tratta di 5 mux che allo stato della legislazione settoriale non possono andare né a Mediaset né a RAI (perché già hanno il numero massimo di multiplexer per soggetto), ma nemmeno in blocco agli altri player monomux (perché ognuno di essi arriverebbe a 6, quindi oltre il tetto consentito).
Questi canali dovrebbero quindi finire ad un nuovo entrante (si sono fatti avanti Discovery e qualche fondo d’investimento, quale F2i, probabilmente assieme al partner Marguerite, e Clessidra) oppure essere frazionati tra gli altri player monodiritto (o attraverso partecipazioni non rilevanti dei superplayer), che entro il 15/01/2018 dovranno formulare le offerte non vincolanti.
Tuttavia, come noto, dal 2022 il 100% dei tv sarà IP ready, in quanto smart, la banda larga sarà più che quadruplicata come diffusione rispetto ad oggi e gli italiani si saranno abituati a sfruttare le potenzialità della rete per attingere ai contenuti veicolati attraverso internet (il boom di Netflix è sintomatico).
Ciò significa che da qui in poi il ruolo del DTT (quale piattaforma distributiva) è destinato a diminuire e non ad aumentare, a differenza di quello della tv quale content provider (circostanza che spiega l’euforia sugli LCN).
In altri termini, non ci sarà spazio per molti operatori di rete in un futuro televisivo sempre meno terrestre.
Ecco allora che più d’un osservatore comincia a ventilare la presenza, alle spalle del legislatore, di un disegno volto a favorire la nascita di un operatore unico tra Rai e Mediaset. I quali, peraltro, già stanno flirtando sul towering facendo toccare i rami EI Towers e Raiway in vista di un possibile matrimonio dove ciascuno poterà in dote le proprie high tower. Sempre meno appetibili in un domani all’insegna del low tower low power dell’era 5G, va detto. (M.L. per NL)