Come noto, entro il 2020 gli operatori di rete dovranno liberare la banda 700 MHz (destinata allo sviluppo della banda larga mobile) con conseguente riduzione delle frequenze disponibili e riassegnazione delle stesse. Con criticità controverse, ma anche con alcuni benefici non di poco conto per un comparto da un decennio in forte sofferenza: per esempio l’occasione per conseguire indennizzi da parte di coloro che decideranno di appendere al chiodo le antenne (si stima che un 30% degli operatori di rete minori in ambito locale opteranno per tale opportunità).
Ma quand’anche così fosse, considerato che la capacità trasmissiva perduta con la sottrazione delle frequenze non potrà essere del tutto recuperata dalla riduzione del novero dei network provider, soccorrerà all’evenienza il passaggio al T2, che, grazie a diverse e maggiori compressioni, consentirà di riequilibrare la banda disponibile rispetto ad oggi (e probabilmente di ampliarla pure), con codec HEVC o MPEG4 (a seconda di quello che prevarrà).
Tuttavia, problematiche giuridico-amministrative a parte, cosa comporta im termini operativi la migrazione al T2?
Ne abbiamo parlato con uno dei più importanti produttori di apparecchiature broadcast italiani, la storica Itelco (brand a rilevanza mondiale, oggi controllato dal gruppo ferrarese Elenos), allo scopo di comprendere quali sono i principali aspetti da valutare o, meglio, quali sono i reali obiettivi e le opportunità che questo cambio tecnologico può offrire.
“Come noto la modulazione FFT a 32K permette una capacità di trasmissione maggiore che può arrivare sino ad un max di 50 Mbit/s contro i soli 31Mbit/s della modulazione DVB-T di prima generazione”, ci spiega Mirko Panzica, sales manager della Itelco. “Sono questi comunque limiti teorici da verificare sul campo a seconda della reale applicazione del network provider. Ma una tipica applicazione (come quella nella tabella che riportiamo a lato, ndr) dimostra un aumento di capacità di oltre il 60%. Questa considerazione va fatta quando la copertura d’area è già ritenuta sufficiente o non può essere variata (e quindi si possono aggiungere ulteriori programmi in SD o HD)”.
Un altro possibile scenario grazie all’applicazione della modulazione T2, a parità di capacità trasmissiva, è la possibilità di avere un buon incremento dell’area di copertura. “In realtà sarebbe meglio parlare di ottimizzazione e quindi di un miglioramento in quelle aree dove il segnale arriva con un basso livello e non garantisce una ricezione stabile”, continua Panzica, che illustra poi un altro importante vantaggio e cioè “quello dell’espansione dell’area SFN a parità di capacità di trasmissione, grazie all’eliminazione delle interferenze tipiche del DVB-T attraverso un maggiore intervallo di guardia e una maggiore robustezza tipica del T2”.
“L’applicazione della tecnica MISO e una maggiore robustezza della modulazione, la possibilità di utilizzo di FFT pari a 16K permettono una capacità di trasmissione doppia rispetto al DVB-T”, fa eco Gianluca Busi, ceo dell’azienda. “La nuova tecnologia di modulazione darà la possibilità di espandere la propria clientela eliminando le problematiche che ad oggi hanno penalizzato i ricevitori portatili“.
Esaurita la valutazione sommaria dei reali benefici di un modulazione evoluta come il T2, va approcciato l’impatto sull’infrastruttura di rete esistente.
“Sul punto – interviene ancora Panzica – la prima considerazione da fare riguarda la potenza e la configurazione del trasmettitore. Le prime reti DVB-T sono state istallate già tra il 2002-2006, cioè quando la tecnologia non era ancora pienamente allineata alla trasmissione digitale, tanto che, sino al 2010-2012 i trasmettitori in tecnica digitale terrestre di media e bassa potenza erano composti da unità driver separate dall’amplificatore. In questi casi la semplice implementazione del modulatore è sicuramente da sconsigliare per vari motivi: obsolescenza componenti, rendimenti molto bassi, decadenza della garanzia. Oggi il mercato offre trasmettitori compatti con prezzi e rendimenti che rendono l’investimento ammortizzabile in un periodo di media durata. Quindi, calcolatrice alla mano, in questi case l’upgrade al T2 con la solo sostituzione del modulatore non è consigliabile”.
Quanto ai trasmettitori di media e alta potenza occorre rilevare che i nuovi dispositivi sviluppati negli ultimi 5 anni garantiscono rendimenti molto alti, sicché “scoprire che la solo bolletta elettrica può essere dimezzata non è poi una cosa così impossibile”, sottolinea Busi, osservando come anche per i trasmettitori di potenza più consistente valga la pena analizzare e quantificare la specifica situazione non essendo affatto “raro concludere che sostituire è più vantaggioso che modificare”.
Ma allora che fine fanno gli amplificatori in esercizio? Secondo Itelco, “Una possibile soluzione può essere l’implementazione di un sistema di ridondanza grazie alle logiche di controllo N+1 che in Itelco sono state sviluppate per applicazioni multistandard e in grado di controllare anche apparati di altri marchi“.
In definitiva, la successione tecnologica sebbene comporti sicuramente un investimento dovrebbe essere visto come “una opportunità per conseguire la soluzione di eventuali problemi di copertura del proprio network ed addivenire ad un rinnovo tecnologico del proprio parco macchine mirato ad un risparmio dei costi di consumo energetico e assistenza“, chiosa Panzica. (E.G. per NL)