L’Italia è proprio la terra dei cachi, dove si può dire e fare tutto e il contrario di tutto; dove i conflitti d’interessi falsano ogni partita, dove tra la ragione e il bilancio s’inserisce sempre l’interesse.
Siamo il Paese che usa due pesi e due misure, che continua a lasciare che le emittenti locali acquisiscano le frequenze per la trasmissione sui canali 61-69 UHF, pur sapendo che se il governo mangia il panettone gliele sottrarrà entro pochi mesi per metterle all’asta agli operatori tlc per il potenziamento della banda larga mobile. Siamo il Paese che, allo stesso tempo regala frequenze nazionali che dovrebbero servire all’aumento del pluralismo e all’ingresso di nuovi operatori nel mercato ai soliti grandi colossi, ricavandone nulla e spernacchiando quel bisogno di far cassa urlato da Tremonti, per cui Romani ha deciso che gli introiti derivanti dall’asta delle frequenze 61-69 UHF (e altre che nel frattempo si rendessero disponibili a seguito di mancata riattivazione o attivazione degli operatori di rete) dovranno entrare in bilancio già a settembre 2011. E’ tutta una contraddizione. Come si legge sul blog di Marco Mele del Sole 24 Ore, infatti, è strano che, fin dal primo switch off in Sardegna, nessun network nazionale abbia mai puntato all’assegnazione delle frequenze in questione, lasciando via libera alle emittenti locali che, pur sentendo puzza di bruciato, hanno continuato a puntarci (anche effettuando investimenti milionari per rilevarle). E questo nonostante da mesi il governo puntasse a destinare anzitempo (il termine fissato da UE è al 2015) tali frequenze allo sviluppo della banda larga e quindi agli operatori di telecomunicazioni. È strano, appunto, che ci si trovi nella paradossale situazione per cui a breve potrebbe partire – cadute di governo permettendo – un’asta per l’assegnazione di frequenze già occupate e che, per giunta, vista la necessità improrogabile di far cassa, il governo abbia voluto anticipare i tempi di modo da mettere in saccoccia i previsti 2,4 miliardi di euro (meno i 240 milioni di briciole che dovrebbero spettare come risarcimento a centinaia di tv locali) che si pensa d’incassare. È strano, poi, anzi stranissimo, che data la fretta e la necessità di far cassa, lo Stato decida d’assegnare gratuitamente, di regalare, vista la formula adottata del beauty contest (gara non competitiva), cinque frequenze nazionali, il cui valore – non dissimile dalle altre nove – potrebbe dare un ulteriore forte contributo a risanare le casse pubbliche, ai grandi colossi nazionali Rai, Mediaset e Sky (con l’aggiunta, forse, di qualche colosso internazionale), ridendosi delle indicazioni della Commissione Europea per cui si sarebbe dovuto agevolare l’ingresso di nuovi concorrenti nel settore, a garanzia di un maggiore pluralismo. Bruxelles alla fine ha ceduto e ha dato via libera all’Agcom per l’assegnazione gratuita di queste frequenze (anche se ha fatto sapere di tenerci sotto controllo, vista la nostra nomea) ma, paradossalmente, ha mantenuto in piedi la procedura d’infrazione contro l’Italia. La scorsa settimana, intanto, il deputato dell’Italia dei Valori Antonio Borghesi ha presentato alla Camera un emendamento che se fosse stato approvato avrebbe forse potuto salvare almeno in parte (dopo una successiva lettura favorevole al Senato) le tv locali, facendo leva sul principio di attribuzione di un terzo delle risorse disponibili, in seno al Piano nazionale di assegnazione delle frequenze, alle imprese locali. Questa misura avrebbe potuto dare una mano e un po’ di ossigeno alle piccole emittenti. Allo stesso modo le perplessità recentemente espresse dal team di esperti del servizio Bilancio del Senato circa il meccanismo e le scadenze fissate per la gara tra gli operatori tlc, potrebbe ritardare o modificare i termini dell’assegnazione. I tecnici nominati da Palazzo Madama hanno infatti segnalato l’elevato rischio di contenziosi legali con gli editori locali che potrebbero tentare – anzi, certamente lo faranno – di ostacolare o per lo meno di rimandare l’abbandono delle frequenze, tentando di avvicinarsi alla data di scadenza delle autorizzazioni. Questo, unitamente all’agenda fissata dal governo, che vuole i soldi entro settembre 2011, potrebbe scoraggiare non pochi operatori tlc, dissuadendoli dal prendere parte alla gara, oltre che contribuire a far calare la base d’asta lasciando deluso lo Stato e tagliando la quota dei rimborsi per le locali. Come si vede, è tutto un paradosso, ma d’altronde siamo in Italia. (G.M. per NL)