L’Italia è un paese diviso per branchi, lobby e bande (anche e soprattutto di frequenze, visto che esse sembrano essere state il principale impegno del precedente governo), dove affinché tutti riescano a mangiare si cercano sempre sotterfugi adatti ad accontentarne i diversi stomaci e palati.
L’Italia è il paese dove di tanto in tanto l’opinione pubblica si sveglia e obbliga la politica a scegliere vie nuove. Ma poi la gente, soddisfatta (o presunta tale), si riassopisce e l’espediente, la magagna, l’inganno, uscito fuori dalla porta, rientra per virtù di qualche codice e codicillo dalla finestra. Come se nulla fosse, fino al prossimo scandalo, alla prossima pubblica indignazione. Ma a noi italiani – che festeggiamo tristi un primo di maggio in cui il senso della festa dei lavoratori (un giorno per autocelebrare i propri singoli sforzi per il bene comune) risulta svuotato da una situazione dell’impiego a dir poco drammatica – va bene così, forse. Reagiamo di pancia e fino a quando non siamo sull’orlo del baratro non ci rendiamo conto dei rischi che stiamo correndo. Perché tutto resti com’è c’è bisogno che tutto cambi, diceva Tomasi di Lampedusa. Ed è una regola che nell’Italia gattopardesca, specchio della natura di noi italiani, è valida ad ogni livello della vita pubblica e privata dei cittadini. In tempi di austerity pressoché generale, in Italia, di tagli alle pensioni e di maggiore elasticità del mercato del lavoro, dure critiche aveva attirato verso di sé il governo, e in particolare uno dei suoi ministri “forti”, Corrado Passera, per la scelta, presa in un primo momento, di non toccare lo scempio del beauty. Che avrebbe concesso frequenze gratis ai grandi colossi del broadcasting, ai danni dei nuovi entranti nel mercato e, cosa ancor più grave, delle casse dello Stato. Che, nel frattempo, venivano rimpinguate dalle tasche dei cittadini italiani, per pagare un debito non contratto da loro. Critiche, critiche e critiche nei confronti di Passera, che però si trovava nella difficile posizione tra l’incudine e il martello per cui modificando i termini dell’asta (ossia, trasformandola da beneficenza in una gara competitiva con il lucro pubblico quale obbiettivo), avrebbe scontentato una della maggiori aziende del Paese, Mediaset, di proprietà della famiglia dell’ex premier e che quindi godeva di un trattamento agevolato durante la precedente legislatura. Tanto hanno fatto, però, che le pressioni dell’opinione pubblica hanno indotto il ministro a prendere una decisione dura e netta: basta sprechi e favoritismi, l’asta si fa come in tutti gli altri Paesi europei e i proventi verranno integrati nelle casse statali. Opinione pubblica soddisfatta e plaudente, Passera che guadagna punti negli indici di gradimento, mentre Confalonieri, Piersilvio Berlusconi e tutti i vertici di Mediaset, inferociti, minacciano di boicottare l’asta. Giustizia è fatta, pensano in molti. Un articolo apparso ieri sul sito del settimanale L’Espresso, invece, smonta, almeno in parte questa tesi. Certo, è innegabile che la mossa del ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture porterà denari freschi invece che fare regali ma, secondo Alessandro Longo, autore dell’articolo, le lacrime piante da Mediaset sarebbero artificiali e congeniali a una sorta di truffa mediatica ai danni dell’opinione pubblica, sedata dalla misura del governo, mentre il Biscione continuerà ad avere giovamenti dai termini dell’asta. Vediamo, nel particolare. Rai e Mediaset possiedono già quattro multiplex DTT a testa, e l’Unione Europea ha posto su tutti i broadcaster un tetto massimo di cinque. Ora, entrambi i colossi televisivi, però, possiedono un quinto multiplex, che per legge dovrebbe essere utilizzato per fini (tecnologici) differenti dal digitale terrestre. In seguito al cambio di strategia da parte del ministro Passera, però, è stato approvato il mese scorso una modifica della disciplina televisiva nostrana, per cui sarà possibile per entrambi i nemici-amici della televisione italiana utilizzare anche quella quinta frequenza per le tv digitale, raggiungendo quindi il tetto UE senza il bisogno di ricorrere all’asta. Mentre, però, il quinto multiplex Rai presenta caratteristiche tecniche (banda VHF) che poco si adattano alla copertura televisiva nazionale, quello di Mediaset (UHF) sembra fatto su misura. Ha ragione, quindi, l’ex ministro Romani quando dice: “Così com’è congegnato, l’emendamento impedirà a Rai e a Mediaset di partecipare all’asta”. Già, perché essi non avranno bisogno di parteciparvi, in quanto la quinta e ultima frequenza disponibile ce l’avranno già in casa, e non dovranno pagare nulla per utilizzarla. Proprio come non avrebbero sborsato un centesimo in caso di beauty contest. Perché tutto resti com’è c’è bisogno che tutto cambi. I regimi agevolati restano, eppure l’opinione pubblica applaude le mosse audaci del governo. (G.C. e G.M. per NL)