Le rappresentanze dei network provider DTT locali sembrano scoprire l’acqua calda e, fuori tempo massimo, lanciano l’allarme per la soppressione dei canali incompatibili con le emissioni estere.
Il bello è che si tratta degli stessi soggetti che qualche anno fa sedavano gli animi dei propri associati con le tranquillizzanti parole del ministro Paolo Romani. Ora la resa dei conti: quelle frequenze – ed era chiaro fin d’allora – avevano il tempo contato – in quanto erano foriere di interferenze con emissioni straniere di confine regolarmente pianificate in ambito UIT. Ora, dopo Aeranti-Corallo, piange anche la ex FRT, cioè Confindustria Radio Tv, che per lacrime di Maurizio Giunco ricorda che le procedure di consultazione per la modifica del Piano Nazionale Assegnazione Frequenze avviate da Agcom in applicazione di quanto stabilito dal D.L. N.145/2013 (c.d. “decreto destinazione Italia”) convertito con modifiche dalla L. n. 9/2014 prevedono che "le Tv locali dovranno liberare 74 frequenze regionali attualmente utilizzate da circa 80/100 operatori di rete locali, secondo la seguente tabella: Liguria 43, 45; Toscana: 43, 45; Lombardia: 32; Piemonte: 32; Veneto: 22, 27, 28, 29, 34, 35, 39, 45, 53; Friuli: 22, 27, 28, 29, 34, 35, 39, 45, 53; Emilia: 21, 31, 45, 51, 59; Marche: 21, 31, 45, 51, 59, 23, 33, 34, 41, 53; Sicilia: 28, 31, 45; Abruzzo: 21, 31, 45, 51, 59, 23, 33, 34, 41, 53; Molise: 21, 31, 45, 51, 59, 23, 33, 34, 41, 53; Puglia: 21, 31, 45, 51, 59, 23, 33, 34, 41, 53, 22, 28. Totale frequenze regionali: 74". In realtà, stupisce che ciò stupisca, posto che da anni tutto questo era (o avrebbe dovuto essere) ben noto: bastava scorrere gli elenchi di pianificazione frequenziale internazionale o, almeno, leggere le pagine di questo periodico che incessantemente metteva all’erta sul futuro nero dei canali DTT non nazionali… Come mai le associazioni di categoria non hanno consultato detti elenchi che pur sapevano esistere, adottando le opportune contromisure giuridiche e/o politiche? Confindustria RTV lamenta che "L’obiettivo di “razionalizzazione” dello spettro auspicato dall’AGCom e dal Ministero dello sviluppo economico, potrebbe produrre come risultato finale la chiusura di molte aziende. È bene ricordare che le frequenze che oggi sono oggetto di “esproprio” furono assegnate alle Tv locali con alcuni Bandi, gli ultimi dei quali conclusi circa un anno mezzo fa". Il sindacato dichiara che "La gestione del passaggio al digitale terrestre è stato disastrosa. Le Tv locali sono state costrette a convertire le proprie reti dall’analogico al digitale effettuando investimenti molto importanti in un momento di forte crisi economica. Molte aziende si sono dovute indebitare col sistema bancario pur di ottemperare agli obblighi previsti". Ma come? Ai tempi FRT non aveva confidato nelle istituzioni? Sta di fatto che ora si prende atto che "a distanza di poco tempo le stesse emittenti sono state chiamate a dismettere i canali della banda 800 MHz a fronte di un indennizzo che non ha nemmeno coperto i costi del passaggio al digitale. È proprio questo uno dei punti cruciali. L’indennizzo di 20 milioni di euro previsto è decisamente insufficiente. Ipotizzando 80 soggetti interessati alla liberazione delle 74 frequenze, l’indennizzo riconosciuto sarebbe pari a 250 mila euro per operatore. Ciò a fronte di investimenti effettuati sul DTT che vanno da 1,5 a 5 mln di euro per azienda! Un grande affare, non ci sono dubbi". Un’ironia che non possiamo non rilevare come fuori luogo da parte di un ente esponenziale che è stato a stretto contatto con il Ministero in tutta la fase pianificatoria del DTT (quando ben si sapeva della destinazione delle frequenze sopra il canale 50 UHF alla tecnologia LTE), ma che ora afferma che "alle emittenti televisive locali sono state assegnate – attraverso dei bandi cervellotici e farraginosi che hanno escluso dalle assegnazioni molte delle aziende maggiormente strutturate – frequenze non coordinate e scadenti". La domanda che sorge è: se così era (ed indubbiamente era), perché ciò non fu contestato? Dov’erano i sindacati in quel frangente? "Non si può continuare in questo modo – continua Giunco – Le istituzioni dovrebbero garantire regole certe e non discriminatorie, altrimenti si finirà per compromettere la stessa continuità aziendale. In effetti, l’esempio della Puglia (ma anche del Veneto) è emblematico. Delle 26 frequenze disponibili ad inizio del processo di digitalizzazione, 9 sono state sottratte dalla banda 800 MHz, 12 saranno spente dall’attuale revisione. Ne rimangono 5 (anzi 4,5 perché il ch. 24 dovrà essere utilizzato al 50% a protezione del mux Rai). E manca ancora la banda 700 MHz". Sta di fatto che l’esponente di Confindustria RTV prende atto – e non potrebbe fare altrimenti – che "La razionalizzazione e l’ottimizzazione delle risorse frequenziali del comparto è necessaria, ma deve consentire alle aziende che dovranno liberare quelle interferenti quantomeno di poter rientrare degli investimenti effettuati, procedendo con strumenti non coercitivi e con una visione complessiva di sistema", sicché chiede "con forza al Governo che venga rivisto l’importo di venti milioni di euro dell’indennizzo attualmente previsto al fine di incentivare la dismissione volontaria delle frequenze". Una richiesta – quella di aumentare il monte premi della rottamazione frequenziale – che pare cozzare con l’auspicio seguente: "L’Associazione Tv Locali, al fine di mettere un freno alla lenta ma inesorabile cancellazione programmata del comparto televisivo locale, auspica infine che il sottosegretario Giacomelli si faccia promotore di una profonda riforma del settore televisivo locale che salvaguardi le imprese radicate sul territorio che svolgono un effettivo ruolo informativo, patrimonio imprescindibile del sistema informativo del Paese”. Auguri. In realtà, come scrivevamo qualche giorno fa, se una residuale (ancorché parziale) via di fuga esiste per salvare coloro (e sono pochi) che non vogliono dismettere l’attività, essa non può che consistere nella provvista frequenziale del dividendo interno, la cui asta è andata semisedeserta con la conseguenza che, con ogni probabilità, almeno due dei tre mux disponibili rimarranno inutilizzati e potranno, pertanto, essere impiegati per sanare almeno una parte delle situazioni interferenziali internazionali più gravi (anche se la qualità delle frequenze non è certamente eccelsa). (M.L. per NL)