Questa settimana, segnatamente il 17 luglio, il Consiglio di Stato potrebbe porre le basi per la definizione dell’annosa questione del logical channel numbering sul digitale terrestre (LCN).
Nel merito, ricordiamo che il Consiglio di Stato, con due speculari ordinanze rese il 10/04/2014, aveva sospeso l’esecutività della propria sentenza n. 06021/2013, congelando i lavori del nominato Commissario ad acta, a seguito frl ricorso per la revocazione della sentenza del medesimo organo giurisdizionale n. 06021/2013 avanzato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, chiedendone la sospensione dell’efficacia. Analogo ricorso (per revocazione) ai sensi dell’art. 106 c.p.a. e dell’art. 395, n. 4, c.p.c., era stato presentato dal MTV Italia, assumendo, al pari di Agcom, che detta sentenza sarebbe incorsa in un duplice errore di fatto, consistente, da un lato, nell’aver ravvisato una discordanza tra l’indagine allegata alla delibera 237/13/CONS e i dati risultanti da un documento prodotto da Telenorba s.p.a. (ricorrente) nel giudizio di ottemperanza e, dall’altro, nell’aver disposto il rinnovo dell’istruttoria in ordine al riaffermato carattere generalista dei canali MTV e Deejay TV, almeno all’epoca del piano LCN 2010, per l’affermata non univocità dei documenti esaminati con riguardo alle Relazioni annuali al Parlamento (per gli anni 2009, 2011 e 2012) presentate dall’Autorità. Ad avviso dei ricorrenti, l’impugnata sentenza incentrava essenzialmente l’affermazione dell’inottemperanza, da parte di Agcom, del giudicato costituito dalla sentenza n. 4660 del 31/08/2012 del Consiglio di Stato sul rilievo che tale P.A. non aveva valutato correttamente gli esiti dell’indagine Piepoli, con particolare riferimento al posizionamento delle emittenti locali in epoca antecedente allo switch off. Nel controverso provvedimento si affermava che “in realtà” dalla Tabella dell’Istituto Piepoli "Rielaborazione analisi per Agcom”, depositata da Telenorba nel giudizio di ottemperanza, si sarebbero desunti “risultati diversi” da quelli esatti, che avrebbero dovuto essere presi in esame e valorizzati dall’Autorità, poiché, con riguardo alla domanda “Parliamo di quando non era ancora stato effettuato il passaggio definitivo al digitale terrestre nella sua regione, e parliamo della televisione presente in casa. Ricorda quale era il primo canale su cui era presente una televisione locale?”, la medesima sentenza aveva sottolineato che sulla quota nazionale degli intervistati che ricordano (65% degli intervistati, media nazionale), il 57% aveva collocato sul telecomando la prima televisione locale tra i primi 8 numeri e il 65% tra i primi 9, mentre per il posizionamento del numero 10 in poi la quota scendeva al 35%. In realtà – secondo i giudici amministrativi di secondo grado chiamati a rivalutare le proprie decisioni – tali risultati non erano sostanzialmente diversi, come aveva affermato l’impugnata sentenza, da quelli esaminati e valorizzati dall’Autorità, poiché le percentuali indicate nel documento prodotto da Telenorba nel giudizio di ottemperanza erano state calcolate dall’Istituto Piepoli, su richiesta della stessa ricorrente (Telenorba), sulle risposte fornite da coloro che avevano dichiarato di ricordare dove si collocasse la prima emittente locale (cfr. la tabella di cui al citato doc.: “% calcolate tra quanti ricordano”), mentre le percentuali prese in considerazione da Agcom nella delibera n. 237/13/CONS erano state calcolate sull’intero campione degli intervistati, sia di quanti ricordavano sia di quanti non ricordavano dove si trovasse la prima emittente locale in epoca antecedente dello switch off. Nelle ordinanze disaminate, il CdS ha poi rilevato che nella delibera n. 237/13/CONS l’Autorità aveva dato atto “che sette italiani su dieci ricordano dove erano posizionate le televisioni locali prima del digitale terrestre; per il 17% degli italiani il primo posizionamento di un’emittente locale era su un canale da 1 a 6, tale percentuale decresce in relazione ai canali da 7 a 9 (10% sul 7, 9% sull’8 e 6% sul 9), mentre per il 22% degli intervistati il primo canale su cui era presente una televisione locale si trovava dal 10 in poi”, mentre essa non pareva avere mai affermato che “(sul 75% degli intervistati che ricordano) il 42% complessivamente aveva sintonizzato un’emittente locale sui canali tra 6 e 9”, come si leggeva, invece, nell’impugnata sentenza. Ad avviso dei giudici, consegue quindi che l’Autorità non ha valorizzato dati non veri, non corretti e diversi da quelli presi in esame e prodotti da Telenorba s.p.a., ma i medesimi dati, correttamente calcolati però dall’Autorità, in percentuale, sull’intero campione intervistato. Tali dati, riconoscono i magistrati amministrativi, "attestano che solo il 36% degli intervistati nell’indagine demoscopica del 2013 e non il 57% ricorda che il primo canale sul quale si trovava un’emittente locale fosse posizionato tra il primo e l’ottavo e solo il 42% degli intervistati e non il 65% ricorda che il primo canale sul quale si trovava un’emittente locale fosse posizionato tra il primo e il nono". L’esito di tale indagine demoscopica, che l’Agcom aveva peraltro valutato al netto del “fattore ricordo” (pp. 38, 39 della delibera 237/13/CONS) e, cioè, di una certa propensione da parte dell’intervistato a rispondere in ogni caso, nelle indagini statistiche, alle domande riguardanti il passato, anche qualora il ricordo risulti lieve (delibera n. 273/13/CONS), "non consente di affermare che l’Autorità abbia trascurato, travisato o disatteso le abitudini e le preferenze degli utenti, in spregio dell’art. 32, comma 2, del TUSMAR, violando quindi il giudicato". Quindi, i ricorsi di Agcom e MTV Italia, secondo il CdS, apparivano assistiti dal fumus boni iuris, quanto all’errore di fatto in cui era incorsa la sentenza impugnata, nei termini sopra precisati, "per essere fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e, cioè, nell’aver posto decisivamente a base dell’affermata inottemperanza del giudicato, da parte di Agcom, la considerazione, da parte dell’Autorità, di dati diversi da quelli corretti e effettivamente risultanti dall’indagine, dati, invero, non divergenti dal vero risultato dell’indagine demoscopica e risultati essere non coincidenti, in percentuale, con quelli di cui al documento prodotto da Telenorba s.p.a., sopra citato, solo per la diversa base di calcolo e per la diversa aggregazione dei dati esposti da Telenorba s.p.a." nel prospetto di “Rielaborazione analisi Agcom sulla numerazione dei canali del telecomando, effettuata per Telenorba” da parte dell’Istituto Piepoli. Sul piano del secondo essenziale requisito per l’adozione di un provvedimento interinale e cioè il "periculum in mora", secondo il Consiglio di Stato, "la nomina del commissario ad acta, disposta dall’impugnata sentenza, e l’adozione di ulteriori atti (determinazioni n. 1, n. 2 e n. 4 del 2014, prodotte in atti), da parte di questo, nel ristretto lasso di tempo stabilito dalla sentenza impugnata e, comunque, entro il termine del 25.5.2014 prefissato dal medesimo commissario nella determinazione n. 1/2014, può irrimediabilmente pregiudicare l’assetto già impresso dalla delibera n. 273/13/CONS al Piano di numerazione automatica dei canali della televisione. digitale terrestre, con conseguente rapida modificazione dei canali, disorientamento per gli utenti e, non da ultimo, nocumento per le emittenti che attualmente trasmettono sui canali 8 e 9". Per conseguenza, nelle more dell’esame di merito fissato appunto per il 17/07/2014, il CdS aveva sospeso l’esecutività della sentenza impugnata e con essa l’efficacia di tutti gli atti sino ad ora adottati dal Commissario ad acta. (M.L. per NL)