Nulla di nuovo. Lo scriviamo da un paio d’anni. Ma ora che siamo alla vigilia dello switch-over laziale, la vecchia notizia comincia a tornare d’attualità. Altro che moltiplicazione degli spazi con il DTT: per far posto ai golia, devono sparire i davide! Giratela come volete, ma frequenze per tutti non ce ne sono. Così, se vogliono sopravvivere, molte tv locali dovranno finire del mux di altre. Con tanti saluti per l’asset più importante (i canali), vaporizzato insieme alle aspettative di operatore rete. E chi aveva resistito alle sirene degli acquirenti di canali si sente ora preso nel sacco.
Della questione si è occupano Marco Mele de il Sole 24 Ore in un interessante articolo che riportiamo.
Nel Lazio operano 53 emittenti locali, suddivise tra regionali, provinciali e di piccola area. Circa il 40-45% trasmette già in digitale. Vi è «un’evidente asimmetria tra le frequenze disponibili e il numero delle emittenti stesse». Vi sono, poi, diverse criticità per la popolazione coinvolta nello spegnimento del segnale analogico entro il prossimo novembre (switch off), circa quattro milioni di abitanti in 180 comuni. Ancora: i tempi a disposizione per pianificare un’adeguata campagna informativa non sono adeguati, in quanto estremamente brevi. La soluzione migliore sarebbe quella di confermare la data dello switch over (lo spegnimento di Rai 2 e Rete 4 entro il 16 giugno) e di prevedere uno slittamento di cinque mesi per lo switch off. Si possono ipotizzare diverse soluzioni per ovviare alla scarsità delle frequenze, ma vanno condivise a livello politico e istituzionale. È questo, in sintesi, il contenuto della ricerca condotta per conto del Corecom Lazio – diramazione sul territorio dell’Authority per la comunicazioni e organo di consulenza della Regione – dal Multimedia Lab del Cattid, Università La Sapienza e dall’Istituto di economia dei media della Fondazione Rosselli. «Il digitale terrestre – sottolinea Francesco Soro, presidente del Corecom Lazio dall’ottobre 2008 – è certamente una gigantesca opportunità per l’ammodernamento tecnologico e per ampliare l’offerta, a vantaggio dei cittadini. Detto questo, «nel Lazio ci sono vari motivi di preoccupazione» precisa Soro. Il primo, secondo il presidente del Corecom, è la mancanza di un Piano regionale delle frequenze digitali (che deve arrivare insieme a quello nazionale: non si può fare un Piano del Lazio senza quello della Toscana e della Campania, ndr).
Mancano le frequenze
«In secondo luogo, non ci sono abbastanza frequenze per tutti». Qui sta il vero punctum dolens della situazione di Roma e Lazio. Il calcolo parte dalle 56 frequenze a disposizione – teorica – in ciascuna area territoriale in cui è stata divisa l’Italia (Viterbo sta in quella che include Toscana e Umbria). Nel Lazio le emittenti, con sede legale nella regione, che hanno o la concessione o l’autorizzazione ministeriale sono 53-54; poi ci sono oltre 40 emittenti che trasmettono in parti della regione da quelle confinanti; queste ultime non potranno continuare a farlo. Dai 56 canali vanno sottratti quelli da rendere compatibili, senza interferenze, con Francia e Città del Vaticano (che utilizza tre canali a Roma, uno per Radio Vaticana). Alle reti nazionali vanno riservate 25 frequenze mentre un terzo va assegnato, per legge, all’emittenza locale. I conti non tornano. Tanto più che otto frequenze sono in banda VHF-III, dove a oggi trasmette la Rai e dalle quali trasmetteranno Europa 7 e le radio digitali nel canale 12. In più, i canali da 61 a 69 dovrebbero essere, almeno in parte, assegnati dal 2015 per servizi di banda larga mobile. Tanto che le emittenti nazionali tendono generosamente a "lasciarli" alle tv locali.
Classificare le emittenti
Le soluzioni suggerite dalla ricerca partono dalla necessità di classificare le emittenti su base geografica, assegnando là stessa frequenza solo a quelle regionali. Un’altra frequenza potrebbe invece essere assegnata alle emittenti che coprono aree non interferenti geograficamente. Quelle da rendere compatibili con la Francia potrebbero essere assegnate a tv locali del Lazio orientale ma non a quelle costiere. Infine, questione delicata, le "micro emittenti" che operano su piccole aree potrebbero essere ospitate sui multiplex delle emittenti maggiori. Per le tv locali il principale asset è la frequenza in uso e le associazioni chiedono una frequenza per ciascuna emittente.
Sos decoder e antenne
Per Soro «vi è anche un deficit di comunicazione verso i cittadini». Saranno circa mezzo milione a Roma, e oltre un milione nella regione, le persone che avranno problemi di ricezione. Meglio verificare in tempo antenne e relativo cavo: secondo stime della ricerca, tra il 10 e il 25% del parco antenne richiederà interventi. In certi casi, si dovrà risintonizzare l’antenna. Quanto ai decoder, gli zapper a basso costo non consentono di ricevere i programmi pay: ma visto che ogni tv ha bisogno di un decoder, gli zapper, che costono sui 30 euro, possono andar bene per i secondi e terzi televisori. Il bollino blu sull’apparecchio significa che quel decoder può ricevere il pay e i servizi interattivi. Bollino grigio per gli zapper. Sul fronte prospettive economiche, le emittenti laziali hanno ascolti più bassi della media delle tv locali, specie nella fascia mattutina e in prima serata. Le televendite, non a caso, coprono buona parte del palinsesto, a scapito dell’autoproduzione, mentre vi è scarsità di contenuti audiovisivi qualitativamente accettabili per il mercato locale.
Marco Mele per "Il Sole 24 Ore Roma"