L’agonia del “tivufonino”, oggetto denominato con orrendo neologismo al tempo in cui ancora si pensava che la televisione sul cellulare poteva essere la killer application del millennio (paiono secoli fa, ma sono solo pochi anni), sta consumando il suo ultimo atto.
Il disinteresse dei consumatori e la contemporanea e/o conseguente scarsità di terminali sul mercato hanno con ogni probabilità messo definitivamente fine alle ambizioni di una tecnologia che solo tre-quattro anni fa sembrava destinata a fare sfracelli. In realtà già nel 2010 Swisscom Broadcast in Svizzera, Mobilkom e Orange in Austria e Antenna Hungaria in Ungheria avevano gettato la spugna, come del resto da noi Mediaset e TIM. Nella primavera dello stesso anno però l’emittente francese TDF aveva annunciato, in collaborazione con Virgin Mobile, un progetto di rilancio, terminato anch’esso miseramente nei primi mesi del 2011. Adesso, proprio in Francia, il Consiglio superiore dell’audiovisivo ha ufficialmente ritirato le 16 frequenze a suo tempo assegnate alle emittenti per trasmettere in standard DVB-H, decretando ufficialmente il fallimento dei progetti dedicati al broadcast dedicato ai telefonini. Ancora incerta la destinazione delle risorse spettrali liberate: una parte parrebbe essere destinata al DVB-T2, lo standard di seconda generazione della TV digitale terrestre. Trattandosi inoltre di canali con copertura limitata, una parte di essi potrebbe anche essere assegnata alle emittenti territoriali. Soluzione che apparirebbe interessante anche per l’Italia, dove pure si è tornati a parlare di DVB-H sotto forma di ennesimo capitolo della guerra delle frequenze che oppone grandi broadcaster, compagnie telefoniche e tv locali. Salta però subito agli occhi una differenza tra il nostro paese e i vicini d’oltralpe: mentre in Francia le frequenze sono tornate in mano statale in vista di una redistribuzione, da noi nessuno pensa di riprendersi indietro i canali assegnati a quei soggetti (segnatamente Mediaset e H3G) che si erano prefissi di farci la televisione sui cellulari e ora si ritrovano con una risorsa inutilizzata ma comunque preziosa. Nel frattempo, non solo le tecnologie si sono evolute creando nuovi scenari e diverse opportunità (lo streaming in rete prima di tutto), ma il principio che legava determinate bande di frequenza a ben precisi servizi si è andato affievolendo, sostituito nella normativa europea dall’imperativo della “neutralità tecnologica” secondo il quale lo spettro radio può ospitare qualsiasi tipo di servizio di comunicazione elettronica, dal broadcast ai dati alla telefonia. Grazie a ciò, fette sempre più consistenti della gamma UHF, storicamente dedicata alla radiodiffusione televisiva, stanno per essere consegnate all’internet mobile portata dalle telco. E allora riprende corpo l’ipotesi, sulla carta assai meno sconvolgente, di convertire le frequenze del DVB-H per trasmettere in DVB-T. In realtà il nodo da sciogliere, più che quello delle modalità di utilizzo dello spettro (che inevitabilmente verranno liberalizzate nel momento di recepire le direttive del “telecom package” della UE con il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche) è ancora quello di favorire o meno posizioni dominanti nel settore televisivo. E’ chiaro a tutti che l’operazione di conversione da uno standard all’altro porterebbe a un’alterazione dell’equilibrio di mercato e influirebbe inevitabilmente sull’asta del dividendo digitale interno prevista dopo l’annullamento del famigerato beauty contest. Tra l’altro proprio queste preoccupazioni erano state alla base della decisione di Agcom che aveva bloccato alla fine dell’anno scorso una richiesta in tal senso avanzata da H3G, la compagnia telefonica che controlla Tre Italia, che per qualche tempo aveva avuto la possibilità di trasmettere sperimentalmente i suoi programmi in DVB-T. Non è dato finora di sapere quali saranno gli orientamenti del governo sulla questione, anche se i riferimenti al DVB-T2 presenti nell’emendamento che annulla il beauty contest fanno pensare che il prezzo da pagare per riutilizzare le vecchie frequenze dei tivufonini sarà probabilmente il passaggio obbligato alla nuova tecnica di trasmissione della tv digitale (con tutto il doloroso contorno di ennesimo rinnovo del parco ricevitori da parte dei malcapitati utenti). Del resto le frequenze in questione (attualmente i canali 37 e 38 UHF, banda dei 600 MHz) non rientrano in quelle tecnicamente utilizzabili per l’internet mobile, cosa che farà piacere a Mediaset ma probabilmente meno a H3G che avrebbe potuto utilizzarle per ampliare il suo core business di operatore di telecomunicazioni. In sostanza l’autorizzazione ad usare quelle frequenze per la TV in postazione fissa sarà subordinata all’impegno ad investire nell’innovazione tecnologica rappresentata dal nuovo standard. Una sorta di redivivo beauty contest, in cui saranno però avvantaggiati i soggetti che già detengono i diritti sulle risorse spettrali. Si tranquillizzino perciò le nostrane emittenti locali: la speranza che, come in Francia, qualche briciola arrivi anche a loro è alquanto remota. Ancora una volta la partita delle frequenze si gioca al tavolo dei più forti. (E.D. per NL)