Raramente riprendiamo interviste concesse a terzi. Ma l’occasione era troppo ghiotta per lasciarcela scappare. L’intervista rilasciata da Andrea Ambrogetti (Dgtvi) al quotidiano La Stampa era, infatti, imperdibile…
Il pezzo, pubblicato in data 11 ottobre dal quotidiano torinese, parte con una lapidaria dichiarazione del presidente dell’Associazione Dgtvi – che ha il complesso fine "di promuovere tutte le iniziative volte all’interoperabilità delle reti e dei servizi interattivi" – in relazione alla migrazione (conclusasi pochi giorni fa con una scia di problemi) dell’area tecnica 1 (Torino e Cuneo): “Tutti i network nazionali hanno convertito senza problemi il segnale analogico in digitale. Le trasmissioni digitali si vedono o non si vedono: non c’è via di mezzo”. Con un incipit di questo tipo la reazione dell’intervistatore, il giornalista Marco Accossato, era scontata: “Che cosa significa «non c’è via di mezzo"? Se continuano ad arrivare così tante segnalazioni di problemi, evidentemente non tutto è andato liscio. Che cosa risponde?”. Non va meglio Ambrogetti con la risposta: "Il segnale digitale arriva o non arriva. Se ci sono problemi di ricezione dipendono dagli utenti. Mi spiego: non voglio dire che è colpa dei cittadini che non sanno sintonizzare i decoder, dico che probabilmente ci sono antenne che per vetustà o per filtri troppo vecchi non ricevono o ricevono i canali a singhiozzo". Chiaro il sofisma? La colpa della mancata ricezione non è degli utenti, ma degli impianti degli utenti! Insiste il giornalista de La Stampa: “Sessantasei Comuni piemontesi sono senza tivù. Il 25 per cento di quelli montani è oscurato; cento ripetitori dovranno essere installati a spese delle Comunità. Non si poteva programmare meglio il passaggio?” Serafica la risposta di Ambrogetti: “Quello dei ripetitori è un problema reale. Il guaio è che, in Piemonte, ci siamo trovati di fronte a decine di impianti non conosciuti: antenne messe proprio da Comuni o Comunità montane per potenziare i segnali per i residenti. Ma la Rai non sapeva che esistessero, e il ministero neppure", che tiene poi a precisare: “non conoscendo l’esistenza di questi impianti, non è stato possibile predisporre un piano di conversione completo. Ora è stato fatto anche questo". Ok, prendiamo atto che per il presidente di Dgtvi le valli laterali piemontesi erano piene di relay abusivi, cosa di cui invero dubitiamo, visto che il Piemonte è una di quelle regioni dove – per fortuna – il locale Ispettorato territoriale è funzionante ed efficiente. Eppoi la questione degli impianti ex art. 30 D. Lgs 177/2005 era arcinota sia al MSE-Com che agli operatori, sicché sarebbe meglio parlare di totale e gravissima sottovalutazione, piuttosto che di mancata conoscenza del reale quadro radioelettrico (quella sì che interessa altre regioni prossime allo switch-over…). Ma è alla domanda sulle speranze di tornare a ricevere la tv che avrebbero gli abitanti delle aree montane oscurate anche dei pochi segnali analogici precedentemente ricevuti che Ambrogetti svela il buio dietro alla tecnologia sedicente moltiplicatrice di canali. Così il presidente di Dgtvi: "Nelle zone quasi irraggiungibili dove esisteva comunque un impianto venivano trasmessi al massimo uno o due canali locali. Per avere l’intera offerta televisiva quei residenti avranno dovuto attrezzarsi in questi anni di satellite. Bene, possono comprare un decoder satellitare e collegarsi alla stessa parabola". Con cotanta risposta vien da chiedersi se Ambrogetti promuova il DTT o la tv digitale satellitare… Ma non è finita. L’intervistatore incalza il presidente dell’associazione di supporto alla migrazione numerica: "Ammettiamolo, presidente. Finora, più che le grandi potenzialità del digitale terrestre, abbiamo sperimentato le difficoltà a sintonizzare, risintonizzare, ordinare canali. Sempre ammesso che si trovino…”. Risposta: "Questo è un problema che si potrebbe affrontare con una rete di assistenza in loco. So che la Regione Piemonte ha avviato iniziative. In Trentino, ad esempio, c’è un servizio di assistenza a domicilio. Mi rendo conto, però, che a Torino è più complicato, viste le dimensioni della città". Andiamo bene: se l’idea di un supporto all’utenza era quella di organizzare un servizio a domicilio, cosa ci dobbiamo aspettare in occasione della migrazione di Napoli, Roma e Milano? Il giornalista del quotidiano piemontese decide poi di scendere sul concreto: "Resta il fatto che, per il cittadino, le grandi potenzialità non sono ancora tangibili. Concorda?" Secco Ambrogetti: "La tivù si vede e si sente meglio, perché il segnale è più “pulito”. C’è stata una moltiplicazione dell’offerta: dai tre canali Rai di prima siamo oggi a 12 canali, e da 12 canali nazionali gratuiti siamo passati a 35". Non molla Accossato: "L’Europa ci aveva dato fino al 2012 di tempo per metterci in regola. Non conveniva aspettare e organizzare tutto con più attenzione? Che fretta c’era?” Laconica la risposta: “Non sarebbero cambiate le cose, mi creda. E proprio per rispettare la scadenza ultima abbiamo creato un calendario per il passaggio analogico-digitale". Lo insegue il giornalista: “Forse con più calma il Piemonte avrebbe avuto meno problemi. Non crede?”. “La situazione del Piemonte è molto particolare: ci sono oltre 1500 impianti, avete una marea di emittenti locali. Anche questo dev’essere considerato", chiosa Ambrogetti. Una marea di emittenti locali? A Torino e Cuneo? E allora in Campania e in Sicilia che faremo caro Ambrogetti? Ci richiameremo alla legge di Bartolomeo Pandetta: "Arrangiati & spera" ?