In questi ultimi giorni centinaia di operatori di rete locali stanno inviando al Mise lettere identiche sulla questione indennizzi, chiedendo che il decreto ministeriale che ne fissa la quantificazione venga emanato al più presto.
E che si basi sui criteri fin qui consolidatisi. Cioè quelli della dismissione della banda 800 MHz e dei canali interferenti con gli Stati Esteri, come peraltro avevamo già rappresentato su queste pagine domenica scorsa anticipando alcune ipotesi allo studio nelle stanze ministeriali.
Le emittenti chiedono altresì che vengano riaperti i termini per la dismissione (sia obbligatoria nelle aree ristrette, sia volontaria anticipata) delle frequenze, fino ad almeno il sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del decreto ministeriale relativo ai criteri di determinazione degli indennizzi che dovrà essere definito.
All’indirizzo di Patuanelli, Liuzzi e Celi
I destinatari delle missive sono Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo Economico, Mirella Liuzzi, Sottosegretario di Stato allo S.E. (cui era stato ricondotto proprio il controverso emendamento sugli indennizzi, poi espunto dal DL Rilancio) e Pietro Celi, Direttore generale della Dgscerp del medesimo dicastero
Il decreto smarrito
In considerazione che non è stato ancora emanato il decreto ministeriale relativo ai criteri di determinazione degli importi degli indennizzi, previsto dall’art. 1, comma 1039, lettera b) e comma 1040, della legge n. 205/2017, come modificata dalla legge n. 145/2018, i network provider ne chiedono l’immediata pubblicazione, immotivatamente in ritardo (tanto che, proprio sulla sua assenza, il TAR ha accolto i ricorsi contro la dismissione dei canali 51-53 UHF).
Niente criteri inediti
Come detto in apertura, gli operatori di rete che si sono coordinati in questa protesta domandano che il decreto si basi sugli stessi criteri a suo tempo previsti dal decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 23/01/2012 (relativo alla dismissione della banda televisiva 800 Mhz) e da quello dello stesso ente del 17/04/2015 (relativo alla dismissione di ulteriori canali delle tv locali).
Indennizzi non sono contributi
Le emittenti locali, nelle loro missive, ribadiscono inoltre come tali misure economiche non siano contributi, bensì appunto indennizzi finalizzati a risarcire la dismissione anticipata dei diritti d’uso pluriennali a circa dieci anni o oltre di anticipo rispetto la loro scadenza naturale. Le imprese “(contro la loro volontà) vengono forzatamente private di un importante asset, mentre alle reti nazionali, che analogamente dovranno rilasciare le frequenze, sono applicate misure che permettono loro di continuare l’attività di operatore di rete”. Una sperequazione che le istanti ritengono inaccettabile.
Valore di mercato frequenze supera somma stanziata
Il valore di mercato dei diritti d’uso degli operatori di rete locali, scrivono nelle lettere indirizzati al Mise, “peraltro supera abbondantemente la somma stanziata dalla legge per tali indennizzi”.
Riaprire termini dismissioni (volontaria ma anche obbligatoria)
In conclusione, i network provider chiedono al Ministero che vengano riaperti i termini per la dismissione (sia obbligatoria nelle aree ristrette, sia volontaria anticipata) delle frequenze, fino ad almeno il sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore dell’emanando decreto ministeriale relativo ai criteri di determinazione degli indennizzi. (M.L. per NL)