Dovrebbe giungere a conclusione in queste settimane l’annosa questione delle interferenze internazionali conseguenti alla superficiale assegnazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico (reo in fase di attribuzione) e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (colpevole in fase di pianificazione) di diritti d’uso tv palesamente incompatibili ab origine col quadro elettrico di confine.
In realtà, la convivenza in tema di onde elettromagnetiche coi nostri confinanti è sempre stata difficile sin dalla seconda metà degli anni ’70, con l’occupazione sregolata dello spettro elettromagnetico da parte delle emittenti private. Tuttavia, mentre all’alba del 2010 le incompatibilità erano praticamente scomparse a seguito di complessi coordinamenti tecnici unilaterali (perlomeno per quanto riguarda le televisioni, mentre numerose segnalazioni erano e sono irrisolte con le radio), con l’avvento del digitale terrestre, all’insegna dell’illusione che tutti gli operatori esistenti potessero starci sulle frequenze indicate come disponibili dall’Agcom, le turbative con i vicinanti sono ricominciate, più forti di prima. In testa i problemi con Svizzera, Croazia, Slovenia, Malta e Francia, che hanno protestato (giustamente) con l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU), l’organismo mondiale che supervisiona l’occupazione delle frequenze (che da maggio 2016 vede quale vicepresidente l’italiana Eva Spina, dirigente del Mise), il quale, quasi tre anni fa, ha messo in mora il nostro paese, che ha dovuto rimangiarsi le assegnazioni frequenziali (non che peraltro ciò fosse una novità, va detto), innescando un contenzioso (amministrativo) nel contenzioso transnazionale, che ha condotto a procedure di revoca dei diritti d’uso incompatibili cui hanno seguito riassegnazioni (per i soggetti che intendevano proseguire nell’attività in presenza di determinati requisiti) o indennizzi per quasi 51 mln di euro (favorendo chi ha colto l’ultimo treno per dismettere l’attività). Il termine ultimo per lo switch off è previsto per i primi di novembre, mentre l’annuncio della definitiva soluzione del problema sarà dato il 09/11/2016 allo "Radio Spectrum Policy Group", il comitato consultivo UE che coadiuva la Commissione UE nella gestione dello spettro frequenziale europeo. In realtà, dal troppo poco si è passati al (apparentemente) troppo, visto che dalla cernita sono "avanzate" alcune risorse più o meno nazionali (i canali VHF 7 e 11 e UHF 24, 58 e 60), costitutive del cd. "dividendo interno", che dopo essere state infruttuosamente messe all’asta competitiva (nell’utopica aspettativa di un introito per lo Stato) sono state oggetto di una procedura di attribuzione a nuovi o già esistenti player per il trasporto di fornitori di servizi media audiovisivi locali alla ricerca di carrier (falsa necessità, invero, posto che gran parte della capacità trasmissiva disponibile sui network provider è invenduta ed utilizzata per la veicolazione improduttiva di contenuti ridondanti). Va però detto che dette frequenze hanno dei grossi limiti tecnici (quelle in VHF) oppure dovranno essere dismesse entro il 2020/2022 per favorire l’espansione della banda larga mobile (i canali 58 e 60 UHF). Insomma, il raggiungimento della stabilità nell’occupazione delle frequenze tv nel nostro paese è ben là dall’essere stata raggiunta (M.L. per NL)