Al di là dello scontato ottimismo del viceministro del MSE Paolo Romani, la consapevolezza della criticità dello switch-off nelle grandi aree del nostro Paese è palpabile tra gli operatori. Il Lazio impensierisce per numero di emittenti. La Campania, con la giogaia di diffusori abusivi, intimorisce (migreranno anche gli impianti tarocchi? Durante i week-end compariranno le emittenti a timer in un probabile zibaldone analogico/digitale?). Nel Veneto si è quasi certi che non ci sarà spazio per tutti. Il pragmatismo lombardo sta invece spingendo gli editori ad un mulinello di scambi di impianti che ricorda quello del bimestre precedente al 23 ottobre 1990, scadenza ultima per la presentazione delle domande di concessione ex L. 223/1990. Le televisioni hanno, infatti, capito che più sarà presidiato un dato canale, più probabile ne sarà l’assegnazione all’attuale esercente (coordinamenti internazionali permettendo). Così, certi cronici e assurdi contesti impiantistici stanno trovando un’inaspettata soluzione in questi giorni. Comunque sia, quella verso il digitale non sarà una transizione facile. Per nulla. Ma, forse, per la prima volta nella storia televisiva italiana, la minor alterazione (tecnica) dell’esistente non sarà vista negativamente. Soprattutto dagli utenti.