Appena nove giorni fa il ministro Romani aveva assicurato al commissario europeo sulla Concorrenza, Joaquin Almunia, che la gara per l’assegnazione del dividendo digitale interno avrebbe avuto luogo “nelle prossime settimane”.
Dovranno passarne, però, almeno quattro o cinque, dal momento che i giudici del Consiglio di Stato (in funzione consultiva) impiegheranno non meno di un mese per esprimersi sulla nuova richiesta di parere inviata dal ministro allo Sviluppo Economico a riguardo della possibilità per Sky di partecipare alla gara. La quale – ricordiamolo – non porterà nemmeno un ghello nelle casse di uno Stato che, da una parte (attraverso Tremonti), piange miseria e, dall’altra, regala frequenze miliardarie. Romani, già il mese scorso, ci aveva provato ad ottenere un conforto giuridico, inviando un malmesso quesito al Consiglio di Stato, respinto però perché troppo generico e sintetico. Il buon ministro, infatti, aveva sollevato dubbi sul principio di reciprocità – a suo dire per evitare “eventuali ricorsi” da parte di altri operatori – per cui, siccome nessuna azienda italiana è titolare di concessioni televisive negli Stati Uniti, lo stesso trattamento dovrebbe essere riservato alle imprese americane nel nostro Paese (Sky, infatti, è la succursale italiana di un’azienda che ha il suo quartier generale negli USA). Un principio che, invero, nemmeno in Cina trova più albergo. Va pur detto, però, che Romani non aveva evidentemente intenzione di indispettire nessuno, visto che nella richiesta aveva omesso di fare il nome di Sky. Con l’effetto di generare una non risposta per eccessiva genericità della domanda. Figuracce giuridiche del suo ministero a parte, Romani ha quindi deciso di riprovarci, anche perché il CdS aveva fissato 30 giorni per la riproposizione del quesito in maniera corretta, decorsi i quali sarebbe stato considerato decaduto l’interesse alla risposta. Così l’ex editore tv ieri ha inviato l’interrogazione opportunamente riformulata. Con il solo scopo, secondo l’opposizione, di impedire o, più probabilmente, ritardare l’ingresso nell’etere del pericolosissimo concorrente degli affari televisivi del premier. Impresa durissima, se così fosse, visto che Rupert Murdoch è forte di un pronunciamento favorevole dell’UE (che da sempre guarda con attenzione all’anomalia tv italiana) e dell’Agcom. Romani però assicura: le sue richieste non causeranno “ritardi significativi” nell’assegnazione delle frequenze. Anche perché non vi sarebbe particolare urgenza finanziario-economica – come nel caso della gara per le frequenze 61-69 UHF (e altre eventualmente disponibili) per lo sviluppo della banda larga in mobilità – dal momento che col “concorso di bellezza” si premieranno solo i progetti più belli attraverso l’attribuzione di mux nazionali (alla gara parteciperanno anche Mediaset e RAI). Ieri, intanto, il finiano Benedetto Della Vedova ha presentato un’interrogazione parlamentare sul tema, definendo “grottesca” l’iniziativa di Romani. “In questo modo – ha detto – il governo non fa che alimentare i dubbi sul conflitto d’interessi”. (G.M. per NL)