Il modello è quello tedesco, ma questa l’abbiamo già sentita. L’UE impone ai suoi Stati di mettere all’asta frequenze per lo sviluppo della banda larga (entro il 2015) e questi organizzano una competizione tra vecchi e nuovi operatori di tlc con un doppio obiettivo: far cassa e, appunto, incrementare il livello e l’estensione di internet e telefonia di nuova generazione.
La Germania ci ha ricavato oltre 4 miliardi di euro e così Italia e Spagna l’hanno presa come modello, anche se il loro fabbisogno, per risanare due economie allo strenuo delle forze, sarebbe ben più alto di quello teutonico. Sennonché il governo italiano cosa fa? Ha fissato nove frequenze UHF da destinare all’asta ma, invece di limitarne per tempo lo sfruttamento, ha lasciato che le emittenti locali disperate, penalizzate, frustrate, investissero milioni di euro nell’acquisto delle stesse, senza pensare a cosa sarebbe accaduto successivamente. Gli editori nazionali, evidentemente avvisati del pastrocchio, non hanno invece investito un euro nelle frequenze del cosiddetto dividendo esterno (61-69 UHF), lasciando così campo libero ai poveri fratelli più piccoli che hanno continuato ad acquisire porzioni di spettro a data di scadenza ravvicinata. Risultato? A breve dovrebbe essere lanciata l’asta, mentre la Legge di Stabilità ha deciso di indennizzare gli sprovveduti investitori locali con il 10% (fino a un massimo di 240 milioni di euro) dei proventi che, nelle previsioni, dovrebbero aggirarsi sui 2,4 miliardi, ben lontani dai risultati del nostro modello, la Germania (e con gli operatori tlc che già dicono che più di 1,2 mld non cacceranno). Tutto questo, è dovere ricordarlo, mentre lo Stato mette a disposizione, con il beauty contest, frequenze gratuite, su un piatto d’argento, per le grandi aziende televisive nazionali, pubbliche e private. Per fortuna di Zapatero – il quale, a dir la verità, ha altri grattacapi a cui pensare, se possibile maggiori di quelli con cui si confronta il governo italiano (quando non parla di escort e serate hard) – certi controsensi, nel suo Paese, non accadono. Anche la Spagna, però, come ha annunciato il suo Ministro dell’Industria, Miguel Sebastian, nel corso del suo intervento al Mobile World Congress di Barcellona, ha deciso di mettere subito all’asta le frequenze (da 800 a 900 MHz), spinta dalla necessità di far cassa il più presto possibile, per arginare il debito pubblico devastante (9,3% del Pib, il Pil spagnolo), aprire nuove strade agli investimenti stranieri (la gara è aperta ad aziende nazionali e internazionali) e contribuire a quel cambio del modello economico, necessario per il Paese, dopo il crollo dei settori, come l’edilizia, che avevano trainato l’economia spagnola nei decenni precedenti, creando una bolla speculativa, scoppiata negli ultimi anni, con le conseguenze che conosciamo. L’asta, perciò, dovrebbe tenersi, al più tardi, questa primavera, per il bisogno di inserire i proventi nella prossima Finanziaria, così come avrebbe intenzione di fare Tremonti qui in Italia. Le aspettative dei nostri cugini, però, sono un po’ più basse: il Ministero dell’Industria ha calcolato che la vendita di spettro agli operatori tlc potrebbe fruttare tra l’1,7 e i 2 miliardi di euro al Governo. Italia e Spagna, quindi, si avviano congiuntamente verso questo passo, che darà una piccola spinta alle loro economie e contribuirà, si spera, all’evoluzione tecnologica di entrambi. Ma con una differenza: ambedue necessitano, come il pane, denaro liquido e, quindi, hanno fretta; ma la Spagna non ha assegnato frequenze a emittenti televisive sapendo di dovergliele sottrarre poco dopo e, soprattutto, non regala spettro a nessuno, viste le sue condizioni economiche disastrose. (G.C. per NL)