DTT. Finisce avanti alla Corte di giustizia UE il refarming della banda 700 MHz. Rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato

marco cavestro, corte di giustizia europea

Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE le norme nazionali che hanno disciplinato la gara per l’assegnazione dei diritti d’uso per il DTT nell’ambito del cd. refarming della banda 700 MHz del digitale terrestre. Una procedura potenzialmente esplosiva.

Sintesi

I quesiti sottoposti alla Corte di giustizia europea dal Consiglio di Stato riguardano:
1) la (da sempre controversa) limitazione degli effetti dell’azione di annullamento, che impedirebbero la reintegrazione o esecuzione in forma specifica, circoscrivendo la tutela cautelare al pagamento di una provvisionale, così compromettendo la tutela giurisdizionale effettiva;
2) l’assegnazione di ulteriore capacità trasmissiva mediante procedura onerosa con aggiudicazione all’offerta economica più elevata e con la partecipazione degli incumbent;
3) la conversione “dei diritti d’uso delle frequenze” in “diritti d’uso della capacità trasmissiva”, che non disporrebbe una conversione per equivalente, riservando parte della capacità a procedure onerose, imponendo all’operatore ulteriori costi per assicurarsi la conservazione delle prerogative legittimamente acquisite nel corso del tempo;
4) l’assenza di  misure di carattere strutturale per ristorare la situazione di disparità in precedenza determinatasi anche in considerazione delle irregolarità in precedenza accertate dalla giurisprudenza interna e sovranazionale, e non differenzia la posizione dell’operatore che ha acquisito una frequenza all’esito di procedura onerosa competitiva con previsione del diritto di conservazione della stessa o se invece risultino adeguate e proporzionate le misure non strutturali prima descritte adottate dall’Autorità di settore.

L’ordinanza del Consiglio di Stato di rinvio pregiudiziale

Il Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza 01/12/2023, n. 10416 ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea i seguenti quesiti.

Quesito 1 del Consiglio di Stato

1) se gli artt. 6 e 19, par. 1, seconda parte, del T.U.E., interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 4, par. 1, co. 1, della direttiva 2002/21/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune
per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), e l’art. 31 della direttiva (UE)
2018/1972, deve essere interpretato nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella
rilevante nell’ordinamento italiano (art. 1, comma 1037, della l. n. 205 del 2017) che, in una
situazione di rilevanza comunitaria, limita gli effetti dell’azione di annullamento, impedendo la
reintegrazione o esecuzione in forma specifica, e circoscrive la tutela cautelare al pagamento di una
provvisionale, compromettendo la tutela giurisdizionale effettiva;

Quesito 2 del Consiglio di Stato

2) se il diritto dell’Unione e, in particolare, gli artt. 3, paragrafi 3 e 3-bis, e 8 e 9 della direttiva
2002/21/CE (c.d. “direttiva quadro”), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE, nonché gli artt.
5, 6, 8, 9 e 45, della direttiva (UE) 2018/1972, deve essere interpretato nel senso che osta ad un
sistema del tipo di quello introdotto nella Repubblica Italiana dall’art. 1, comma 1031-bis della legge
di bilancio 2018 come introdotto dall’art. 1 comma 1105 della legge di bilancio 2019, che, priva o,
comunque, limita in modo significativo l’autorità amministrativa indipendente delle sue funzioni di
regolamentazione, stabilendo l’assegnazione di ulteriore capacità trasmissiva mediante procedura
onerosa con aggiudicazione all’offerta economica più elevata e con la partecipazione degli incumbent;

Quesito 3 del Consiglio di Stato

3) se il diritto dell’Unione, e, in particolare, gli artt. 8 e 9 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i
servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), gli artt. 3, 5, 7, e 14 della direttiva
2002/20/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 marzo 2020, relativa alle autorizzazioni
per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), gli artt. 2 e 4 della
direttiva 2002/77/CE della Commissione, del 16 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati
delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, i consideranda n. 11 e n. 20 della decisione UE
2017/899 e i principi di equità, non discriminazione, tutela della concorrenza e del legittimo
affidamento, deve essere interpretato nel senso che osta ad un sistema come quello introdotto dalla
normativa nazionale rilevante (art. 1, commi 1030, 1031, 1031-bis, 1031-ter, 1032, della l. n. 205
del 2017), nonché dalle delibere dell’Agcom n. 39/19/CONS, 128/19/CONS, 564/2020/Cons e dai
relativi provvedimenti di assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze per il servizio televisivo
digitale, che ai fini della conversione “dei diritti d’uso delle frequenze” in “diritti d’uso della capacità
trasmissiva” non disponga una conversione per equivalente ma riservi parte della capacità ad una
procedura onerose, imponendo all’operatore ulteriori costi per assicurarsi la conservazione delle
prerogative legittimamente acquisite nel corso del tempo;

Quesito 4 del Consiglio di Stato

4) Se il diritto dell’Unione e, in particolare, gli artt. 8 e 9 della Direttiva 2002/21/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i
servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), gli artt. 3, 5, 7, 14 della Direttiva 2002/20/CE
del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 marzo 2020, relativa alle autorizzazioni per le reti e i
servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), gli artt. 2 e 4 della Direttiva
2002/77/CE della Commissione, del 16 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati delle
reti e dei servizi di comunicazione elettronica, i consideranda n. 11 e 20 della decisione UE
2017/899, i principi di equità, non discriminazione, tutela della concorrenza e del legittimo
affidamento, nonché i principi di proporzionalità ed adeguatezza, osta come quello introdotto dalla
normativa nazionale rilevante (art. 1, commi 1030, 1031, 1031-bis, 1031-ter, 1032, della L. n.
205/2017), nonché dalle delibere dell’A.G.Com n. 39/19/CONS, 128/19/CONS, 564/2020/CONS, e
dai relativi provvedimenti di assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze per il servizio televisivo
digitale, che non adotta misure di carattere strutturale per ristorare la situazione di disparità in
precedenza determinatasi anche in considerazione delle irregolarità in precedenza accertate dalla
giurisprudenza interna e sovranazionale, e non differenzia la posizione dell’operatore che ha acquisito
una frequenza all’esito di procedura onerosa competitiva con previsione del diritto di conservazione
della stessa o se invece risultino adeguate e proporzionate le misure non strutturali prima descritte
adottate dall’Autorità di settore. (1)

(1) Disamina

Di seguito la documentazione di supporto al rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato.

I. – Con l’ordinanza in rassegna e con le omologhe ordinanze (1 dicembre 2023, n. 10419 e n. 10415 Pres. Montedoro, Est. Cordì), il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte di giustizia UE alcuni quesiti interpretativi diretti a verificare la compatibilità, con le previsioni del diritto europeo di settore, delle norme che disciplinano la gara per l’assegnazione delle radio frequenze digitali, ovvero del c.d. refarming per il nuovo digitale terrestre, per il passaggio dalla tecnologia DVB-T a quella DVB-T2.
II- Nel dettaglio, il giudizio di appello è derivato dalla sentenza del T.a.r. per il Lazio, sez. III, 23 febbraio 2021, n. 2213, che ha respinto il ricorso avverso la delibera dell’Autorità garante per le comunicazioni (AGCom) 7 febbraio 2019, n. 39/19/CONS, recante il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze da destinare al servizio televisivo digitale terrestre (anche PNAF) nonché la delibera dell’AGCom 18 aprile 2019, n. 129/19/CONS, che reca “Definizione dei criteri per la conversione dei diritti d’uso delle frequenze in ambito nazionale per il servizio digitale terrestre in diritti d’uso di capacità trasmissiva e per l’assegnazione in ambito nazionale dei diritti d’uso delle frequenze pianificate dal PNAF, ai sensi dell’articolo 1, comma 1031, della legge 27 dicembre 2017, n. 205”.

Con la medesima sentenza il giudice di primo grado ha respinto i motivi aggiunti proposti avverso l’avviso pubblico in data 11 giugno 2019 per l’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre ex art. 1, comma 1031, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, del Ministero dello sviluppo economico;
Avverso la predetta sentenza ha interposto appello l’interessata e, nell’ambito del relativo giudizio, si è innestato il deferimento di cui trattasi.
III. – Il collegio, dopo aver ricostruito i passaggi del giudizio di primo grado ed aver ricostruito la disciplina succedutasi nel tempo in materi di assegnazione delle frequenze digitali, ha osservato che:
a) in relazione al “primo quesito”, l’ordinanza rileva che esso sottende un problema di effettività della tutela giurisdizionale assicurata dall’ordinamento interno in una situazione sicuramente coperta dal diritto dell’Unione europea, trattandosi di controversia relative all’attuazione della decisione (UE) 2017/899 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017, relativa all’uso della banda di frequenza 470-790 MHZ nell’Unione;
b) le previsioni dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che ai sensi dell’art. 6, par. 1, prima parte, del T.U.E. ha lo stesso valore giuridico dei Trattati) conferiscono alla garanzia della tutela giurisdizionale la valenza di principio fondamentale e generale di diritto dell’Unione. Inoltre, l’art. 19, par. 1, seconda parte, del T.U.E. obbliga gli Stati membri a stabilire i rimedi giurisdizionali necessari ad assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva;
c) in relazione al principio di effettività il diritto dell’Unione non produce l’effetto di obbligare gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che, tuttavia, dall’impianto sistematico dell’ordinamento giuridico nazionale in questione risulti che non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta, anche solo in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, o che l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo sia quello di commettere violazioni del diritto (Corte di giustizia UE, 13 luglio 2023, in C-363/2021 e C-364/2021; idem, 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C497/20, in Foro it. 2022, IV, 0090; idem, 14 maggio 2020, Orszgos Idegenrendészeti Fóigazgatósg Déhalfifildi Regiongis Igazgatóúg, C924/19 e C925/19);

d) in particolare nel caso specie opera l’art. 1, comma 1037, della l. n. 205 del 2017, che preclude al giudice amministrativo italiano l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati nell’ambito delle procedure di cui ai commi da 1026 a 1036, tra cui rientra anche la procedura oggetto di giudizio. In sostanza, la tutela giurisdizionale conferita dall’ordinamento interno non comporta, in alcun modo, “la reintegrazione o l’esecuzione in forma specifica” e, quindi, in termini generali, il conseguimento del bene della vita finale al quale la parte — lesa illegittimamente da un provvedimento amministrativo — anela, ma, esclusivamente, un risarcimento per equivalente monetario;
e) si dubita, quindi, che tale disposizione sia conforme alla normativa unionale e al principio di effettività della tutela giurisdizionale in relazione a situazione soggettive conferite e regolate dal diritto dell’Unione europea. La disposizione nazionale, infatti, non consente al giudice amministrativo di annullare provvedimenti interni che risultino contrari ai parametri normativi di riferimento e la tutela accordata dal legislatore nazionale è solo di tipo risarcitorio per equivalente. Essa, però, costituisce un succedaneo non idoneo a ristorare l’operatore economico del pregiudizio arrecato da provvedimenti illegittimi.
Infatti, il bene della vita al quale l’operatore anela consiste nell’assegnazione di diritti d’uso delle frequenze, situazione che impone l’impiego di ingenti risorse economiche e la realizzazione di strutture aziendali complesse e munite di peculiari strumenti tecnologici, funzionali alla realizzazione dell’attività di impresa;
f) la predetta disposizione, quindi, non consente un’adeguata tutela della situazione soggettiva degli operatori economici, e, in ultimo, non garantisce un accesso effettivo al mercato, e, quindi, un pluralismo effettivo. La sola misura del risarcimento del danno per equivalente ristora, in ipotesi, l’operatore ma dei soli pregiudizi economici patiti privandolo, al contempo, della possibilità di ottenere il bene della vita primario al quale l’attività svolta e lo stesso ricorso giurisdizionale proposto aspirano, e, inoltre, priva, in ogni caso, la collettività della possibilità di veder realizzato un sistema effettivamente pluralistico incidendo, in ultimo, sulla democraticità del sistema;

g) in altre situazioni tuttavia, osserva il giudice rimettente, è stata affermata dai giudici nazionali la legittimità di sistemi che escludessero la possibilità di garantire una tutela “reale”, conferendo una mera tutela risarcitoria; come nelle pronunce della Corte costituzionale italiana (cfr. 11 febbraio 2011, n. 49, in Foro it. 2011, I, 2602, con nota di PALMIERI A. e 25 giugno 2019, n. 160, in Foro it. 2019, I, 3843 nonché in News US n. 79 dell’8 luglio 2019, per la quale vedi infra § u4), che hanno ritenuta costituzionalmente legittima una previsione nazionale che consente al giudice amministrativo di concedere la sola tutela risarcitoria per equivalente;
h) in relazione al “secondo quesito”, si osserva che esso riguarda la conformità al diritto unionale del fattore di conversione individuato dall’autorità e, in generale, il complessivo meccanismo di determinazione della capacità trasmissiva assegnata agli operatori già presenti sul mercato e della capacità assegnata mediante la procedura onerosa di cui all’art. 1, comma 1031-bis, della l. n. 205 del 2017. In particolare, il quesito si incentra sulla conformità al diritto dell’Unione europea del meccanismo previsto in relazione ai principi di indipendenza, autonomia e neutralità dell’A.N.R. e delle decisioni da esse adottate;
i) in particolare il giudice a quo osserva che, a seguito della istruttoria effettuata presso l’autorità garante sul criterio di conversione dei mux nel passaggio dalla tecnologia DVB-T a quella DVB-T2, è emerso che sulle valutazioni dell’A.N.R. ha inciso, in modo sostanziale, la legge n. 205 del 2017;
i1) infatti, l’autorità nazionale dopo aver rappresentato le difficoltà tecniche di determinazione del fattore di conversione della relazione depositata in adempimento dell’ordinanza istruttoria, ha evidenziato la necessità di dover tener conto della previsione di cui all’art. 1, comma 1031-bis della legge di bilancio del 2019;

i2) pertanto si dubita che la sostanziale incidenza di una decisione politica effettuata dal legislatore nazionale sulle scelte operate dall’autorità sia conforme al diritto euro-unitario e, in particolare, ai principi e alle regole unionali in tema di indipendenza dell’A.N.R.;
i3) esiste quindi una riserva di amministrazione indipendente, che mira a garantire alle A.N.R. un ambito di regolamentazione sottratto all’intervento delle autorità politiche per assicurare l’indipendenza della funzione regolarità e la prevedibilità delle relative decisioni (cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 ottobre 2018, n. 5929);
i4) è stato anche evidenziato che “le autorità indipendenti hanno funzioni di regolazione di determinati settori della vita economica mediante attribuzione di poteri normativi, amministrativi e giustiziali” e che “esperienza tecnica e neutralità pongono i settori economici regolati al riparo da inframettenze politiche, tutte le volte in cui il legislatore decida di istituire un regolatore riconducibile al genus dell’amministrazione indipendente” (Cons. Stato, sez. II, 25 febbraio 2011, n. 872 in Foro It. Rep, 2011, Radiotelevisione, n. 31 nonchè, in Foro amm.-Cons. Stato 2011, 2909, con nota di FREGO LUPPI);

i5) la Corte di giustizia UE, inoltre, ha già affermato la necessità di preservare l’autonomia e l’indipendenza dell’A.N.R. (cfr. sez. IV, 26 luglio 2017, C-560/15) dalla normativa unionale, e da tale decisione sembra emergere una riserva di amministrazione indipendente che pone un limite ad interventi normativi che possano elidere, limitare o comprimere la sfera di intervento dell’A.N.R.;
l) si chiede, quindi, se il diritto unionale osti ad una normativa come quella contenuta all’interno dell’art. 1, commi 1031 e 1031-bis, della L. n. 205/2017, così come interpretata ed applicata dall’Autorità nazionale di regolazione. Considerato che tale applicazione ha determinato la sottrazione di risorse alla conversione e che in tal modo il legislatore ha compresso la sfera valutativa discrezionale dell’Autorità, incidendo nel procedimento di determinazione del criterio di conversione da parte dell’Autorità e, in sostanza, del numero di reti da destinare alla conversione;
m) anche la dimensione dei lotti e le regole della procedura sono state determinate dal legislatore nazionale, comprimendo le valutazioni dell’Autorità di regolazione, e con la partecipazione degli incumbent, con una scelta chiaramente espressiva di una linea “politica” e non tecnica;
n) in relazione al “terzo quesito”, si osserva che le disposizioni nazionali rilevanti hanno introdotto una procedura per il refarming che è consistita nella conversione delle risorse frequenziali DBV-T già assegnate in precedenza e dell’assegnazione della nuova capacità trasmissiva agli operatori, nonché nel conferimento della capacità trasmissiva residua mediante procedura onerosa;
n1) si dubita, quindi, della conformità di tali disposizioni agli artt. 8 e 9 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), e agli artt. 3, 5, 7, e 14 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 marzo 2020, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), nonché ai principi di parità di trattamento, non discriminazione, tutela della concorrenza e del legittimo affidamento, in relazione ad una normativa nazionale che, al fine di “preservare” risorse per la procedura onerosa, non ha disposto la conversione integrale dei precedenti diritti, svantaggiando, in modo particolare, gli operatori minori come l’operatore appellante;

n2) la determinazione del fattore di conversione effettuata dall’Autorità ha comportato, da un lato, la mancata conversione per equivalente delle risorse frequenziali DVB-T assegnate al nuovo standard tecnologico DVB-T2, e, dall’altro, ha comportato per operatori come l’appellante la necessità di partecipare alla “procedura onerosa senza rilanci competitivi”, di cui all’art. 1, comma 1031-bis, della l. n. 205 del 2017. Ciò ha comportato, per un soggetto già titolare di risorse frequenziali DBV-T, la compressione dei precedenti diritti e la necessità di versare ulteriori somme per ottenere una capacità trasmissiva che lo stesso soggetto ha ritenuto equivalente solo dopo l’acquisizione onerosa della risorsa aggiuntiva;
n3) ciò è avvenuto per la ritenuta necessità di “preservare” la procedura onerosa operando una conversione solo parziale delle risorse, così da mantenere ulteriore capacità trasmissiva da destinare alla procedura onerosa. In sostanza, le autorità italiane hanno applicato le disposizioni interne, ritenendo che “l’ulteriore capacità trasmissiva” non fosse il risultato eventuale del procedimento di conversione (e che, quindi, in ipotesi, avrebbe potuto essere pari a zero), ma un termine da tenere in preventiva considerazione per determinare il fattore di conversione. In tal modo la posizione di un operatore come la parte ricorrente (che aveva acquistato i diritti d’uso all’esito di una procedura competitiva ed onerosa) è risultata incisa dal meccanismo di conversione/assegnazione;
o) pertanto si dubita della conformità al diritto unionale di una normativa come quella nazionale che, nella sua applicazione concreta, ha comportato la necessità per l’operatore di sostenere ulteriori costi per realizzare una conversione equivalente, senza, quindi, realizzare ex se una conversione equivalente delle risorse digitali;

p) in relazione al “quarto quesito”, si chiede se gli artt. 8 e 9 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), gli artt. 3, 5, 7, 14 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 marzo 2020, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), gli artt. 2 e 4 della direttiva 2002/77/CE della Commissione, del 16 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, i consideranda n. 11 e 20 della decisione UE 2017/899, ostino ad una normativa come quella nazionale che, da un lato, non ha tenuto conto nella procedura di conversione/assegnazione della situazione di parte appellante (la quale aveva già partecipato ad una procedura onerosa per acquisire i diritti detenuti in precedenza), disponendo un fattore di conversione comune per tutti gli operatori, senza differenziare, con un altro modo adeguato e proporzionale le posizioni, e senza tener conto delle alterazioni “storiche” delle dinamiche concorrenziale nel settore audiovisivo italiano;
p1) al riguardo si osserva che il procedimento di refarming è stata anche l’occasione per dare attuazione alle sentenze della Corte di giustizia UE 26 luglio 2017, C-112/16 (in Giornale dir. amm., 2018, 39, con nota di GRANDINETTI) e C-569/15, (in Foro It. Rep., 2017, Unione europea e Consiglio d’Europa, n. 1544 e n. 1549; nonché in Giornale dir. amm., 2018, 39, con nota di GRANDINETTI) che hanno imposto di tener conto delle situazioni determinatesi nel passato anche al fine di operare il riequilibrio di un mercato;

p2) si ricostruisce quindi l’evoluzione dell’ordinamento nazionale in materia che in origine era caratterizzato da un contesto “di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell’etere”;
p3) tale situazione si è poi progressivamente evoluta nel tempo anche in considerazione di importanti pronunce della Corte costituzionale e di altre rilevanti pronunce intervenute della Corte di giustizia UE (cfr. 31 gennaio 2008, C-380/05, in Foro it., 2009, IV, 414); del Consiglio di Stato (cfr. 20 gennaio 2009, n. 242, per la quale vedi infra § w1); della Corte europea dei diritti dell’uomo (7 giugno 2012, ricorso n. 38433/09 Centro Europa 7 s.r.l. e Di Stefano c. Italia, per la quale vedi infra § u2);
p4) il Governo italiano ha, quindi, adottato diverse misure al fine di rendere tale normativa compatibile con il diritto dell’Unione: in particolare l’AGCom ha adottato la delibera 181/09/CONS, del 7 aprile 2009, recepita poi dalla L. n. 88/2009, in cui fissato i criteri per la digitalizzazione completa delle reti televisive terrestri (cd. “beauty contest”);
p5) in tale quadro caratterizzato da una “disparità di trattamento determinatasi per effetto della considerazione indifferenziata, da parte di AGCom delle posizioni di partenza dei vari operatori plurirete), il Consiglio di Stato (cfr. 16 ottobre 2018, n. 5929, punto 2.25) ha osservato che le reti “eccedenti” i limiti di concentrazione stabiliti dalla legge 31 luglio 1997 n. 249 (pari al 20 per cento delle reti televisive analogiche) hanno svolto sì attività conforme alla disciplina transitoria, ma difforme dalle regole “a regime” che anticipavano la fase transitoria;

q) in conclusione, si dubita della compatibilità delle misure adottate dal legislatore italiano e dalle Autorità nazionali nella parte in cui hanno comportato anche una conversione non integrale dei diritti acquisiti al termine di una procedura onerosa e competitiva e hanno, altresì, determinato un unico criterio valevole anche per tale operatore e suddiviso la capacità trasmissiva tenendo conto, comunque, di situazioni “irregolari”, come sancito dalla giurisprudenza indicata in precedenza;
r) al riguardo si osserva che la Corte di giustizia UE con sentenza 27 luglio 2017, in causa C-112/16, cit. ha già evidenziato che le A.N.R., nello svolgere le loro funzioni di regolamentazione indicate nella direttiva quadro nonché, in particolare, nella direttiva “autorizzazioni”, devono adottare tutte le misure ragionevoli intese a conseguire gli obiettivi definiti nei paragrafi da 2 a 4 del medesimo art. 8, che consistono nel promuovere la concorrenza nella fornitura delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, nel contribuire allo sviluppo del mercato interno e nel promuovere gli interessi dei cittadini dell’Unione (punto 38, ove sono richiamate anche le sentenze del 19 giugno 2014, C-556/12, TDC, punto 39, nonché del 15 settembre 2016, C-28/15, Koninklijke KPN e a., punto 46);
s) ciò premesso il giudice del rinvio ritiene che nel caso di specie, la scelta dell’A.N.R. -successiva alla richiamata decisione della Corte di giustizia UE C- 112/16 del 2017 cit.- è quella di non adottare soluzioni di carattere strutturale, ma di articolare, diversamente, la procedura onerosa di cui all’art. 1, comma 1031- bis, della 1. n. 205/2017. Per cui si chiede, alla medesima Corte di giustizia se una simile modalità di esecuzione possa ritenersi conforme ai principi dalla stessa affermati.

t) in sostanza, in forza del disposto di cui all’art. 1, comma 1031-bis, della L. n. 205/2017 e delle scelte adottate dall’Autorità: i) si è determinato una conversione non integrale dei precedenti diritti, per “assicurare” -come spiegato nel secondo quesito- il dividendo esterno, destinato alla procedura onerosa; ii) si è imposto anche ad un operatore che aveva acquisito i diritti d’uso delle frequenze di sottostare ad una procedura di conversione/assegnazione che ha, in sostanza, compresso i diritti in precedenza acquisiti; iii) si è utilizzata la sola procedura onerosa come misura di riequilibrio delle varie posizione, articolando regole asimmetriche che, tuttavia, hanno imposto alla ricorrente, di sostenere ulteriori costi per ottenere il mezzo necessario.
III -. Per completezza si segnala quanto segue:
u) sulla indefettibilità della tutela cautelare e sulle ipotesi di tutela cautelare speciale, oggetto del primo quesito si veda:
u1) Corte di giustizia UE, IX sez., 7 luglio 2022, C-261/21, F. Hoffmann-La Roche Ltd c. Agcm (in Foro It. Rep, 2022, Unione europea e Consiglio d’Europa, n. 1105, in Foro amm. 2022, 901), secondo cui “L’art. 4, par. 3, e l’art. 19, par. 1, Tue nonché l’art. 267 TFUE, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a disposizioni di diritto processuale di uno stato membro che, pur rispettando il principio di equivalenza, producono l’effetto che, quando l’organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa di tale stato membro emette una decisione risolutiva di una controversia nell’ambito della quale esso aveva investito la corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi del suddetto art. 267, le parti di tale controversia non possono chiedere la revocazione di detta decisione dell’organo giurisdizionale nazionale sulla base del motivo che quest’ultimo avrebbe violato l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla corte in risposta a tale domanda”;

u2) Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, 7 giugno 2012, Centro Europa 7 S.R.L. e di Stefano c. Italia, Ricorso n. 38433/09, che, ricordando il rilievo centrale rivestito dal principio del pluralismo, e il ruolo particolarmente importante che, in questo ambito, rivestono “i media audiovisivi, come la radio e la televisione”, sottolinea come il principio del pluralismo dei media possa essere messo a repentaglio da “una situazione nella quale una parte economica o politica della società possa ottenere una posizione dominante riguardo ai media audiovisivi e esercitare così una pressione sulle emittenti, per restringere infine la loro libertà editoriale”, sicché in questo ambito lo Stato non ha solo un dovere negativo di non ingerenza, ma anche “l’obbligo positivo di mettere in opera un quadro legislativo e amministrativo appropriato per garantire un pluralismo effettivo”;
u3) nello stesso vedi Corte europea dei diritti dell’uomo, 17 settembre 2009, Manole e altri c. Moldova nonché 24 novembre 1993, Informationsverein Lentia ed altri c. Austria, in cui si cita, tra le raccomandazioni in materia, la raccomandazione CM/Rec(2007)2 del Comitato dei Ministri, sul pluralismo e la diversità del contenuto dei media, in cui si riafferma che “al fine di proteggere e di promuovere attivamente il pluralismo delle correnti di pensiero e di opinione così come la diversità culturale, gli stati membri dovranno adattare il quadro regolamentare esistente, in particolare in ciò che concerne la proprietà dei media, e adottare le misure regolamentari e finanziarie che si impongono in vista di garantire la trasparenza e il pluralismo strutturale dei media così come la diversità dei contenuti da essi diffusi”;
u4) Corte cost. 25 giugno 2019, n. 160 cit., che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, lettera b), e 2, del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito con modificazioni, nella legge 17 ottobre 2003, n. 280, nella parte in cui sottraggono al sindacato del giudice amministrativo la tutela annullatoria nelle controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari sportive, lasciando al giudice la possibilità di conoscere la sola domanda risarcitoria”;

u5) in dottrina, per una esaustiva illustrazione dei casi di tutela cautelare speciale rispetto al paradigma codicistico v. R. DE NICTOLIS, Codice del processo amministrativo, Milano, 2023, V ed., 843 ss.;
v) sulle frequenze radioTV come oggetto di tutela, si veda: Cass. civ., sez. un., ordinanza 30 settembre 2020, n. 20869 (in Foro it., 2020, I, 3771), la quale, in sede di regolamento di giurisdizione, ha osservato che “la controversia introdotta da una società di emittenza radiofonica titolare di rituale concessione per trasmettere su una certa frequenza, volta ad ottenere la cessazione della turbativa del libero e pacifico esercizio dell’attività di impresa, derivante dalla dannosa interferenza, sulle proprie trasmissioni, di quelle poste in essere da un’altra emittente attraverso l’esercizio materiale di un impianto privo di autorizzazione, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che non si contesta la legittimità di un provvedimento amministrativo o, comunque, dell’esercizio, almeno mediato, di un pubblico potere, ma si invoca il riconoscimento dei diritti fondati sul provvedimento concessorio e si fa valere l’illiceità della situazione di fatto, originata da un comportamento materiale posto in essere in assoluta carenza di potere, a nulla rilevando che l’emittente autrice della condotta materiale, prospettata come illegittima, sia la società concessionaria del servizio pubblico nazionale o sia una società da questa controllata”.

La Corte condivide la ricostruzione operata dal T.a.r., evidenziando come, secondo la prospettazione di parte ricorrente, le condotte asseritamente lesive erano state adottate in carenza assoluta di potere. Inoltre, le sezioni unite ricordano che era stata riconosciuta la sussistenza della giurisdizione ordinaria nell’ipotesi di un’azione intentata dal titolare di un impianto di trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale che utilizzava di fatto, e con preuso, una determinata banda di frequenza, il quale deduceva che un altro soggetto interferiva sulla stessa frequenza (cfr. Cass. 10 ottobre 2012, n. 17243, in Foro it., Rep. 2012, voce Radiotelevisione, n. 21);
w) sul piano nazionale delle frequenze, vedi:
w1) Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 242; idem, 31, maggio 2008, n. 2626, n. 2624 e n. 2622 (tutte in Foro it., 2009, III, 439 con nota di R. MENZELLA).
Con le decisioni riportate il Consiglio di Stato, ha parzialmente accolto la domanda risarcitoria proposta dalla società Centro Europa 7 per la mancata, tempestiva assegnazione delle frequenze necessarie all’esercizio, in ambito nazionale, dell’attività di radiodiffusione televisiva oggetto della concessione rilasciata (con d.m. 28 luglio 1999) a seguito della positiva collocazione nella graduatoria susseguente alla gara indetta in attuazione della l. 249/97, condannando il ministero per lo sviluppo economico (succeduto in corso di causa al ministero delle comunicazioni) al risarcimento, in favore dell’appellante, di una somma pari a poco più di un milione di euro.

Determinante ai fini della decisione (e quindi del quantum risarcitorio) è stato il provvedimento emanato in data 11 dicembre 2008, con il quale il ministero per lo sviluppo economico, dando esecuzione alla sentenza n. 2624 del 2008, ha assegnato a Centro Europa 7 alcune frequenze, ritenute idonee all’esercizio su scala nazionale dell’attività radiotelevisiva.
Nel contenzioso era intervenuta anche la Corte di giustizia delle Comunità europee, che aveva evidenziato la non conformità al diritto comunitario di una normativa nazionale, in virtù della quale un operatore televisivo, titolare di una concessione, si trovi nell’impossibilità di trasmettere, in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati (cfr. 31 gennaio 2008, C-380/05, in Foro it., 2009, IV, 414).
Nell’occasione il Consiglio di Stato ricorda i fattori che hanno condotto alla mancata assegnazione delle frequenze a seguito del rilascio della concessione, osservando come il sistema radiotelevisivo italiano abbia tratto origine da una situazione di mera occupazione di fatto delle frequenze disponibili, perpetuata nel tempo in virtù di un susseguirsi di disposizioni transitorie e/o provvisorie che hanno assunto, infine, il valore di una vera e propria “patente di legittimità”.
La decisione ripercorre l’evoluzione legislativa (segnata dalla legge 6 agosto 1990, n. 223, cd. legge Mammì, istitutiva di un sistema radiotelevisivo di tipo misto e dalla legge 30 aprile 1998, n. 122) nonché gli interventi della Corte costituzionale sul tema.
Nella quantificazione del danno risarcibile, il Consiglio di Stato ha assunto come postulato la qualificazione della posizione giuridica soggettiva del danneggiato come interesse legittimo di natura pretensiva, facendo leva sul carattere costitutivo del provvedimento concessorio, attributivo di un quid novi nella sfera del destinatario;

w2) Cons. Stato, sez. VI, 31 maggio 2008, n. 2625 (in Foro amm.-Cons. Stato, 2008, 1582), che ha escluso, in capo a R.T.I., la sussistenza di un interesse qualificato a proporre appello avverso T.a.r. per il Lazio, sez. III, 30 novembre 2006, n. 13415 (in Foro it., Rep. 2007, voce Radiotelevisione, n. 31), intervenuta nella controversia tra Rete A ed il Ministero delle comunicazioni, in ordine all’assegnazione di ulteriori frequenze radiotelevisive “adespote”, che erano state richieste da quest’ultima emittente; il danno paventato da R.T.I. in conseguenza dell’assegnazione di tali frequenze sarebbe stato, infatti, meramente eventuale, futuro e incerto, e non tale da concretizzare una posizione giuridica di controinteressata legittimata all’appello;
w3) Cons. Stato, sez. VI, 31 maggio 2008, n. 2623, che, confermando T.a.r. per il Lazio, sez. II, 16 settembre 2004, n. 9319, ha dichiarato inammissibile, in quanto tardivo, il ricorso proposto da Centro Europa 7 avverso il decreto del 28 luglio 1999, con il quale il ministero delle comunicazioni aveva rilasciato a Retequattro la concessione per l’esercizio delle frequenze radiotelevisive in ambito nazionale;
w4) Corte di giustizia UE, sez. IV, 26 luglio 2017, C-112/16, Soc. Persidera, (in Giornale dir. amm., 2018, 39, con nota di GRANDINETTI), secondo cui: “I. Nell’ambito del nuovo quadro normativo comune ai servizi ed a alle reti di comunicazione elettronica, l’art. 9 della Dir. 2002/21/CE (direttiva quadro) nonché gli artt. 2 e 4 della Dir. 2002/77/CE (direttiva concorrenza) devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione nazionale la quale, ai fini della conversione delle reti analogiche esistenti in reti digitali, tenga conto delle reti illegittimamente esercite, in quanto essa porta a prolungare o addirittura rafforzare un vantaggio concorrenziale indebito.
II. I principi di non discriminazione e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una disposizione nazionale la quale, in applicazione di un medesimo criterio di conversione, determini nei confronti di un operatore una riduzione del numero di reti analogiche esercite in proporzione più elevata di quella imposta ai suoi concorrenti, a meno che detta disposizione non sia oggettivamente giustificata e proporzionata al suo obiettivo.

La continuità dell’offerta televisiva costituisce un obiettivo legittimo idoneo a giustificare una siffatta diversità di trattamento. Tuttavia, una disposizione che portasse ad assegnare, agli operatori già presenti sul mercato un numero di radiofrequenze digitali superiore al numero che sarebbe sufficiente per assicurare la continuità della loro offerta televisiva andrebbe oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo di cui sopra e sarebbe, dunque, sproporzionata”;
w5) Corte di giustizia UE, 26 luglio 2017, C-560/15, Soc. Europa Way (in Foro It. Rep., 2017, Unione europea e Consiglio d’Europa, n. 1544 e n. 1549; nonché in Giornale dir. amm., 2018, 39, con nota di GRANDINETTI), secondo cui: “I. Nell’ambito del nuovo quadro normativo comune ai servizi ed alle reti di comunicazione elettronica, l’art. 3, par. 3 bis, Dir. 2002/21/CE (direttiva quadro) dev’essere interpretato nel senso che esso osta all’annullamento, da parte del legislatore nazionale, di una procedura di selezione per l’assegnazione delle radiofrequenze in corso di svolgimento organizzata dall’autorità nazionale di regolamentazione competente, in circostanze quali quelle di cui al procedimento principale, che era stata sospesa da una decisione ministeriale. II. L’art. 9 della Dir. 2002/21/CE (direttiva quadro) nonché gli artt. 2 e 4 della Dir. 2002/77/CE (direttiva concorrenza) devono essere interpretati nel senso che non ostano a che una procedura gratuita di selezione per l’assegnazione di radiofrequenze, indetta per rimediare all’illegittima esclusione di taluni operatori del mercato, sia sostituita da una procedura onerosa, fondata su un piano riconfigurato di assegnazione delle radiofrequenze a seguito di una riduzione del numero di queste ultime, purché la nuova procedura di selezione sia basata su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati e sia conforme agli obiettivi definiti all’art. 8, parr. da 2 a 4, della direttiva quadro. Spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, se le condizioni stabilite dalla procedura di selezione siano tali da consentire un effettivo ingresso di nuovi operatori sul mercato della televisione digitale senza indebitamente avvantaggiare gli operatori già presenti sul mercato della televisione analogica o digitale. III. Il principio della tutela del legittimo affidamento dev’essere interpretato nel senso che esso non osta all’annullamento di una procedura di selezione per l’assegnazione delle radiofrequenze per il solo fatto che taluni operatori, quali i ricorrenti di cui al procedimento principale, erano stati ammessi a detta procedura e, in quanto unici offerenti, si sarebbero visti assegnare diritti d’uso di radiofrequenze per la diffusione terrestre con tecnica digitale di programmi radiofonici e televisivi se la procedura non fosse stata annullata;

y) in dottrina sul tema si segnala:
y1) CARINGELLA, Governo dell’etere e regime concessorio: un binomio (quasi) inscindibile (nota a Corte cost. 26 marzo 1993, n. 112 in Foro it., 1993, I, 1340), che si è dimostrato critico nei confronti dell’effettiva valenza di una netta distinzione, in materia radiotelevisiva, tra situazioni di diritto soggettivo – tradizionalmente ricollegate alla sussistenza di un’autorizzazione amministrativa, quale atto finalizzato alla rimozione di un limite alla libera esplicazione di una originaria situazione di diritto soggettivo dell’istante- ed interesse legittimo, compatibile con il rilascio di un provvedimento costitutivo
quale la concessione;
y2) O. GRANDINETTI, Risorse pubblicitarie, stampa, emittenza locale e “pay tv”: le grandi assenti della decisione che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 15, 4° comma, l. n. 223 del 1990, in Giur. costit., 1994, 3758;
y3) A. PACE, La tutela giurisdizionale dell’utente radiotelevisivo, in Dir. informazione e informatica, 1995, 570;
y4) R. PARDOLESI, Pluralismo esterno (non più d’una rete a testa?) per l’etere privato, in Foro it., 1995, I, 8;
y5) CUNIBERTI, Pluralismo dei media, libertà di espressione e “qualità” della legislazione: il caso “Centro Europa 7” di fronte alla Corte europea del diritti dell’uomo, in Rivista AIC, n. 3/2012. (M.L. per NL)

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