Gli operatori televisivi italiani si trovano alle prese con un nuovo switch-off, per certi versi molto più traumatico del primo: il passaggio dal DVB-T al DVB-T2, che del primo è un’evoluzione che permette di avere un segnale digitale più robusto (in termini di esposizione alle interferenze) e più capiente quanto a capacità trasmissiva, utilizzando la codifica HEVC (High Efficiency Video Coding, che supporta l’ultradefinizione delle immagini fino a 8192×4320 pixel), più efficiente dell’attuale MPEG2/MPEG4.
Nel nostro paese i canali UHF destinati alla tv nel 2020 saranno 14 (oggi sono 40, già dedotti i 9 passati alla telefonia con la cessione della banda 800 MHz, ch UHF 61-69), cui potranno aggiungersene altrettanti da coordinarsi ma solo previa accettazione degli stati esteri (tradotto: utilizzo condizionato e comunque gravato da impossibilità di ricezione nei mesi estivi).
Come spiegato nelle settimane scorse, il Consiglio dell’UE ha adottato la decisione sul refarming della banda 700 MHz ed entro la fine di quest’anno si concluderanno le negoziazioni propedeutiche alla riassegnazione (entro il 30/06 dell’anno prossimo) del segmento dello spettro elettromagnetico alla telefonia per lo sviluppo del 5G. Per conseguenza, la tv terrestre con le high tower high power si ridurrà notevolmente (ma nel frattempo si porranno le basi per la partenza di quella LTE, con le low tower low power, basata anche sullo sviluppo delle Small Cell).
In sintesi, il passaggio al T2 dovrebbe aumentare la capacità trasmissiva più di quanto il calo delle frequenze la ridurrà e ciò, più che un obbligo tecnologico e normativo, appare l’unica strada percorribile per salvare l’offerta attuale del DTT.
Logica vorrebbe quindi che, pur nella consapevolezza di dover effettuare investimenti notevoli (che gli operatori di rete minori non saranno in grado di sostenere, va evidenziato da subito), i 50 soggetti dotati di sufficiente consistenza imprenditoriale che continueranno a svolgere l’attività di operatore di rete dopo l’avvicendamento, premano sull’accelleratore per adottare le contromisure in vista della destinazione della banda 700 MHz ai telefonici, che invece vorrebbero anticipare la successione (stante l’incessante aumento della richiesta di banda dagli utenti). E invece non è così.
Il punto è che la Commissione europea ha chiesto all’Italia un piano strategico da consegnare entro giugno (in pratica tra un mese) di quest’anno sulle misure atte a conseguire la liberazione della banda 700 MHz entro il 2020 al fine di evitare problemi interferenziali sui confini (in quanto la successione delle telco sulle bande televisive non avverrà in simultanea in tutti i paesi).
Ora, nonostante dal punto di vista strettamente tecnico l’avvicendamento tecnologico non sarebbe particolarmente complesso, come confermano all’Itelco, storico brand del broadcast tricolore (“Siamo già pronti a fornire apparati di ultima generazione”, ci fa sapere Gianluca Busi dall’azienda orvietese che fa parte del gruppo Elenos), è sul piano strategico e politico che la situazione s’impantana, così che il rischio che si confermi la nomea di inaffidabili che ci contraddistingue in ambito radioelettrico appare elevata.
Pertanto, mentre in Germania sono già passati al digitale terrestre di nuova generazione con evidenti benefici di capacità trasmissiva e qualità del segnale, RAI e Mediaset hanno già fatto sapere che uno switch-over dei canali principali sul T2 è fuori discussione. Il perché è evidente: la capacità trasmissiva dei superplayer è tutta impiegata e convertire un intero mux (per player) al T2 comporta il sacrificio di canali in T1 che non sarebbero più visibili a tutti (al momento i televisori equipaggiati con T2 non sono nemmeno il 20% del parco esistente), stante la non retrocompatibilità del nuovo formato.
“La soluzione potrebbe consistere nello sfruttare l’ingente capacità trasmissiva invenduta delle tv locali per veicolare in T1 prodotti di secondo piano dei superplayer per consentire a questi la destinazione di n mux per parte al simulcasting T2″, osserva Massimo Lualdi, avvocato dell’Area Affari Strategici di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico). “Chiaro che anche una soluzione del genere non sarebbe indolore, sia per la necessità di coordinare operatori locali eterogenei con tutte le conseguenze del caso, sia, soprattutto, per la necessità di passare da progressive risintonizzazioni che, si sa, ogni volta lasciano sul campo tra morti e feriti quote consistenti di audience che potrà essere recuperare solo a seguito di sacrifici lunghi mesi (anche se i nuovi tv sempre più spesso effettuano in autonomia aggiornamenti quotidiani). Si tratterebbe comunque di un compromesso virtuoso – continua Lualdi – posto che convergerebbe l’interesse dei grandi operatori di avviare le trasmissioni in T2 per fidelizzare l’utenza in maniera non traumatica con quello delle tv locali di collocare sul mercato capacità trasmissiva invenduta, generando reddito“. (E.G. per NL)