La parola “frequenze”, nel nostro paese, evoca inevitabilmente vicende contorte e conflittuali che hanno fatto da sfondo alla storia, tecnologica ma soprattutto politica, degli ultimi vent’anni.
Intorno ad un sistema delle telecomunicazioni che, a differenza di altri, ha vissuto puntando tutto sull’abnorme sviluppo del broadcast via etere, si è giocata la partita di un settore industriale che avrebbe dovuto e potuto essere trainante per l’economia, e invece oggi si trascina con fatica, cercando ancora l’appoggio della politica nella propria battaglia contro i mulini a vento. Come interpretare infatti le parole del viceministro alle comunicazioni Catricalà, che invoca le stesse regole della tv per un’internet dove “si fa ciò che si vuole”, se non come l’espressione di un comune sentire con un certo signor Confalonieri? E il famigerato “ex beauty contest”, ci si domanda, che fine ha fatto? Ed è inevitabile ritornare a leggere i capitoli di un libro che avrebbe dovuto essere chiuso alcune ere geologiche fa (tecnologicamente, si intende) e invece sembra non avere fine, stretto tra delibere, decreti, regolamenti, ripensamenti, entusiasmi e docce fredde. Una vicenda legata a filo doppio all’”epocale” switch-off e ai suoi assai meno noti strascichi. Una partita continuamente “sospesa” in cui carte in tavola e regole del gioco cambiano sotto gli occhi dell’intreccio mortale tra media e politica. All’inizio (e stiamo parlando del 2009…) il piatto era ricco: cinque multiplex (poi diventati sei), alcuni assai pregiati, sui quali avevano già messo gli occhi (e anche i contenuti, in fase “sperimentale”) i soliti noti. In quell’occasione, quando lo Stato avrebbe avuto effettivamente la possibilità di guadagnare qualche soldino in un’eventuale asta, si decise invece per il concorso di bellezza: l’ormai famoso beauty contest, che avrebbe dovuto premiare le più virtuose aziende nazionali del settore con il sontuoso regalo di una preziosa risorsa pubblica. Alla fine del 2010 tutto sembra pronto, ma le pretese di partecipazione di Sky, appoggiate dalle autorità europee, fanno slittare tutto. Nell’estate del 2011 un gran lavorio di Agcom e del Ministero dello sviluppo economico di Paolo Romani fa di nuovo pensare che si stia per arrivare al capitolo finale, ma piovono ancora i ricorsi mentre Sky clamorosamente si ritira. La crisi, economica e politica, fa il resto. Ed ecco che, sull’onda dell’indignazione e della spending review, il beauty contest diventa “ex”, con il duo Monti-Passera che si impegna a recuperare risorse per il paese passando anche attraverso la valorizzazione delle famose frequenze. Quindi sospensione e poi annullamento del concorso, con la palla passata ad Agcom per studiare le regole di un’asta nuova di zecca. Proventi stimati da Mediobanca: 1 miliardo di euro (ma con la partecipazione degli operatori TLC). Infausta coincidenza: a metà 2012 il mandato del Consiglio dell’Autorità scade, e si deve aspettare che la nuova si insedi. Nel frattempo però lo switch-off al digitale più bello del mondo (secondo alcuni suoi artefici) si è concluso, lasciando irrisolta qualche piccola questione: dalle frequenze a 800 MHz che l’arcigna Europa ha voluto a tutti i costi lasciare alle telco, fino a quelle, sparse un po’ per tutto lo spettro, che sempre la severissima Europa vuole a tutti i costi riservare ai nostri paesi confinanti, mentre le avevamo già assegnate a nostre valorose emittenti (perlopiù locali, ovviamente), in barba ad ogni normativa e coordinamento internazionale. Senza parlare delle misteriose apparizioni-sparizioni di canali RAI nelle più svariate zone della penisola, con ignari utenti paganti il canone sempre più inferociti. Poteva la nuova Autorità rimanere sorda alle grida di dolore di cittadini e imprese? Certo che no; e quindi, dopo lunga e pensosa pausa di riflessione, ecco uscire l’asta dimezzata: via le frequenze più alte, destinate in parte a LTE e in parte a coprire i buchi della reti nazionali e a mitigare le interferenze con l’estero, rimangono 3 multiplex, e le condizioni di partecipazione alla gara vengono modulate in modo da favorire i nuovi entranti ed escludere i protagonisti dell’oligopolio televisivo. Facile la conclusione: ci sono voluti quattro anni per arrivare a fare ciò che si sarebbe dovuto fare fin dall’inizio. Nel frattempo, la crisi e l’evoluzione tecnologica hanno profondamente mutato lo scenario di riferimento: gli attori del mercato televisivo, quelli sopravvissuti alla rivoluzione digitale e all’inesorabile assottigliarsi delle risorse pubblicitarie, si trovano a dover operare scelte difficili per fronteggiare la concorrenza sempre più minacciosa dei giganti della rete. Ma non è ancora finita, perché, nel frattempo, gli sforzi del MSE-Com per risolvere le interferenze internazionali non sembrano essere stati particolarmente apprezzati dai paesi confinanti, in particolare dalla Croazia, ma anche da Malta e Francia, che rifiutano i pannicelli caldi e pretendono l’applicazione di accordi di coordinamento largamente disattesi. Alcune delle frequenze superstiti messe in gara potrebbero rientrare nel novero di quelle inutilizzabili in zone di confine, fattore che inevitabilmente ne limita ancora l’attrattiva. A detta di tutti gli esperti del settore, a questo punto l’asta potrebbe andare addirittura deserta o fruttare cifre intorno ai 100-150 milioni di euro. Catricalà, questa volta riecheggiando un suo predecessore (Passera), ha annunciato l’ennesima scadenza: il bando di gara entro fine mese. Il mese è ormai passato, ma l’unica certezza è che, comunque andrà a concludersi questa vicenda di ordinaria politica televisiva italiana, a rimetterci saranno ancora una volta i cittadini. (E.D. per NL)