Al di là di polemiche strumentali alla difesa di orti ed orticelli, non sono pochi quelli che cominciano a pensare che la gara per l’assegnazione di nuovi diritti d’uso per frequenze televisive nazionali in DVB-T (tramite un’asta con offerte economiche con rilanci competitivi) possa andare deserta in prima convocazione.
Come noto, all’asta, le cui modalità sono state fissate dal MSE-Com con bando e disciplinare pubblicati nei giorni scorsi, andranno frequenze che compongono tre reti televisive digitali terrestri nazionali con un diritto d’ uso ventennale non trasferibile per i primi tre anni a comporre i seguenti lotti: a) Lotto L1 con l’utilizzo dei canali 6 e 23 con una copertura nominale stimata di popolazione pari all’89,5%; b) Lotto L2 con l’utilizzo dei canali 7 e 11 con una copertura nominale stimata di popolazione pari al 91,1%; c) Lotto L3 con l’utilizzo dei canali 25 e 59 con una copertura nominale stimata di popolazione pari al 96,6%. Il provvedimento consente di concorrere per tutti e tre i lotti (L1, L2, L3) ai soli nuovi entranti o piccoli operatori (cioè coloro che detengono un solo multiplex), di concorrere per due lotti (L1 e L3) agli operatori titolari di due reti in DVB T; agli operatori integrati, attivi su altre piattaforme con una quota di mercato superiore al 50% della tv a pagamento (Sky) al solo lotto L1. Il bando esclude invece dalla partecipazione alla gara gli operatori che detengono tre o più multiplex (Mediaset, Rai e Telecom Italia Media Broadcasting). Le offerte economiche prevedono un sistema di miglioramento competitivo, con importo minimo stabilito in virtù dei criteri indicati dall’Autorità, in base al costo per abitante coperto previsto dal decreto per le misure compensative per la liberazione della banda 800 MHz, in modo proporzionale alla copertura potenziale: la base d’asta prevista nel bando è pari a 29.300.759,42 euro, 29.824.571,88 euro, 31.625.177,20 euro rispettivamente per L1, L2, L3. A rendere non improbabile l’assenza di partecipanti alla prima convocazione, c’è il fatto che, a fronte dell’aggiudicazione di frequenze non certamente eccelse in termini di possibilità concreta di raggiungere l’utenza (prevalentemente per via del parco antenne), vi sono gli imponenti costi connessi all’installazione dell’infrastruttura di diffusione, per la quale vige l’obbligo per gli aggiudicatari di raggiungere la copertura del 51% (purché comprendente il 10% della popolazione di ogni regione) entro 5 anni, ancorché in modo graduale. Ma, soprattutto, vi è l’indubbia incertezza della reale portata del business, considerato che già oggi sul mercato italiano vi è una notevole quantità di capacità trasmissiva DTT (nazionale, ma soprattutto locale, stimata addirittura nel 55%) invenduta, che aumenterà ancor di più col passaggio al DVB-T2, nonostante l’imminente sottrazione di ulteriori risorse frequenziali per il potenziamento della tecnologia LTE e per dirimere le problematiche interferenziali con gli stati esteri. Ad oggi, in effetti, quel che manca, sono contenuti di appeal e non la banda dove allocarli. (M.L. per NL)