Agcom potrebbe avere presto il suo quinto commissario, dopo le dimissioni di Maurizio Decina (domani o dopo il gruppo Pd della Camera voterà il nome del successore e il giorno successivo vi sarà il voto dell’Assemblea dei deputati).
Nel frattempo, a riguardo dell’assegnazione del dividendo interno (ex beauty contest) non è ancora pervenuto nessun parere da Bruxelles, nonostante il Governo italiano abbia inviato già a giugno la bozza del bando per la gara relativa alle tre frequenze nazionali digitali da attribuire a nuovi entranti e/o player minori. Il silenzio dell’UE sembra quasi avvallare le recenti parole del viceministro allo Sviluppo Economico (con delega alle Comunicazioni), Antonio Catricalà, che ha dichiarato che «non c’è tutta questa fretta» per fare la gara, visto che «i soldi scarseggiano» e le frequenze invece valgono. In questo caso – secondo i pochi che ritengono che i canali riservati da Agcom per il digital dividend interno siano comunque di pregio – il valore dei canali sarebbe determinato dal fatto che in VHF si potrebbe fare solo televisione e non banda larga mobile, circostanza che metterebbe al sicuro gli assegnatari da future necessità di ampliamento dello spettro radioelettrico a favore del web senza fili, come è stato previsto per la banda 700 MHz (canali 50-60 UHF). Magra consolazione, visto che allestire reti nazionali su frequenze VHF costerebbe uno sproposito, posta l’impossibilità sostanziale di utilizzare strutture preesistenti e la certezza di raggiungere un’utenza dell’80% della popolazione italiana sarebbe remota, considerata l’inadeguatezza del parco antenne riceventi (lo sviluppo giudiziario dell’esperienza di Europa 7 relativamente al canale VHF 8 è emblematica a riguardo). Del resto, lo slittamento della gara farebbe comodo anche al Ministero dello Sviluppo Economico, che così avrebbe risorse radioelettriche temporanee per tampore le situazioni critiche determinatesi a seguito dell’attuazione pasticciata di un Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze che faceva già acqua in sede di elaborazione. Lo spostamento dell’attribuzione del dividento interno consentirebbe peraltro di evitare che le tv locali diventino (ancora una volta) «l’agnello sacrificale» (defizione di Catricalà) all’altare degli interessi dei superplayer della tv (che, guarda caso, si tengono bel lontani dalle frequenze VHF, a smontare la tesi dell’asserito plusvalore di tali frequenze) e delle tlc (affamate indiscriminatamente di canali UHF, ormai assodato essere papabili non solo nella parte alta della banda). Ad ogni modo, la parola finale spetta alla commissione UE, che – in tempi di pensieri meno essenziali – aveva determinato la necessità di riservare una serie di canali per i nuovi entranti e gli operatori minori aprendo una procedura d’infrazione contro l’Italia – che ora dovrà pronunciarsi non già sulla qualità (contestatissima) delle frequenze in gara, ma sul prezzo base della stessa (ridotto di 10 volte rispetto alle irrealistiche anticipazioni degli esordi). L’idea che comincia a serpeggiare nel settore è che si attenda, da una parte, la nuova rottamazione dei canali 50-60 UHF per ridurre il numero degli operatori locali interessati alle attribuzioni e, dall’altra, l’introduzione del DVB-T2 che moltiplicherà la capacità trasmissiva rendendo non così determinante la titolarità di frequenze. Semmai lo sia già ora, vista la mole di capacità trasmissiva invenduta. (M.L. per NL)