In una lunga lettera al Corriere della Sera il consigliere del CdA di Mediaset Gina Nieri ha esposto il punto di vista dell’azienda del premier Berlusconi sulle polemiche relative al cd. beauty contest, la procedura per l’attribuzione senza gara competitiva del dividendo interno.
"Caro direttore – scrive la Nieri in una lettera pubblicata ieri dal quotidiano – il dibattito sul cosiddetto «beauty contest» delle frequenze tv si è sviluppato finora in modo molto confuso e ispirato dalla solita logica pro o contro Berlusconi. Il primo fattore di confusione riguarda l’ equiparazione tra l’ assegnazione di frequenze agli operatori telefonici, vere e proprie aste al rialzo, e il cosiddetto beauty contest relativo ai multiplex digitali televisivi. In realtà si tratta di due partite completamente diverse. Cominciamo dal beauty contest che nelle polemiche alimentate sia da parte di esponenti politici che di organi di informazione è definito un «regalo» di frequenze tv. Non è così, perlomeno per quanto riguarda i broadcaster storici (diverso il discorso per i nuovi entranti, Sky Italia per esempio, per i quali il diritto d’ uso delle frequenze, se verrà loro attribuito, sarà effettivamente gratuito). Da dove ha origine la vicenda? Dalla necessità dello Stato italiano di reperire frequenze da dedicare al digitale in vista dello stop all’ analogico previsto dall’ Ue. L’ Italia infatti non aveva, a differenza degli altri Paesi, la disponibilità di asset frequenziali liberi da dedicare al digitale in quanto la presenza di oltre 500 tv locali, fenomeno unico al mondo, aveva generato l’ occupazione totale delle frequenze disponibili. Con la legge 66 del 2001, il governo di Giuliano Amato scelse allora di velocizzare il processo spingendo gli operatori nazionali ad acquistare frequenze di tv locali fino all’ effettiva introduzione del digitale. In poche parole, i broadcaster nazionali italiani pagarono di tasca propria la conversione al nuovo standard che, è bene ricordare, non fu una scelta di evoluzione imprenditoriale ma un costoso passaggio obbligatorio per legge. Così facendo i broadcaster hanno sopperito all’ impossibilità dello Stato di organizzare con i propri mezzi la transizione al digitale. Negli Stati Uniti e nei maggiori Paesi europei, invece, lo Stato ha assegnato agli operatori senza alcun costo le frequenze necessarie allo switch off dell’ analogico. In nessuna parte del mondo si sono quindi tenute aste per le frequenze digitali tv, al contrario di quanto sostiene chi, poco informato, invoca una «vendita a caro prezzo» anche per l’ Italia. Di più: da noi i broadcaster commerciali storici hanno dovuto comprare sul mercato tutte le frequenze su cui operano. Mediaset negli anni ha acquisito tv locali per costruire il network Canale 5, rilevato Italia 1 dall’ editore Rusconi, Retequattro da Mondadori, e per poter esercitare l’ attività in digitale terrestre ha dovuto acquistare tre nuovi multiplex. L’ investimento complessivo è stato di circa 1 miliardo di euro, a cui si aggiungono i canoni di concessione richiesti dallo Stato (nel nostro caso, 19 milioni di euro l’ anno). Tuttavia, nel passaggio dall’ analogico al digitale, Mediaset in cambio delle tre frequenze analogiche di Canale 5, Italia 1 e Retequattro otterrà dallo Stato a fine switch-off solo due multiplex digitali perdendo una delle frequenze storiche regolarmente comprata e pagata. Si potrebbe addirittura parlare di «esproprio» di un bene, il diritto d’ uso delle frequenze, legalmente acquisito. Identico sacrificio è stato chiesto a Rai e Telecom Italia Media che hanno dovuto rinunciare a una frequenza ciascuno. Dove sono andate queste frequenze «requisite»? Ad alimentare la costituzione del cosiddetto «dividendo digitale» che oggi viene appunto riassegnato, per disposizione dell’ Europa a chiusura dell’ infrazione contestata all’ Italia, con la procedura pubblica, equa e trasparente del beauty contest. Ed è sempre l’ Europa ad aver stabilito che all’ assegnazione potessero partecipare sia gli operatori storici sia i nuovi entranti italiani e stranieri come Newscorp con Sky Italia. Giusto a titolo di cronaca: in tutto questo percorso iniziato nel 2001 Silvio Berlusconi non c’ entra niente. Completamente diversa è la genesi dell’ asta per le compagnie telefoniche. Qui le frequenze pregiate oggetto dei rilanci sono quelle televisive, ripetiamo televisive, che grazie alla tecnologia digitale hanno aumentato la capacità trasmissiva creando nuovi spazi che, secondo le disposizioni della Commissione europea, gli Stati membri devono in parte cedere ai servizi di telefonia con procedure d’ asta. E per le compagnie di tlc saranno risorse già pronte, visto che il traffico lo generano gli utenti, per esercitare un’ attività di servizi a pagamento. Al contrario, nel caso della tv le frequenze sono solo la precondizione per iniziare l’ attività, come fossero un nudo terreno totalmente da urbanizzare. Le emittenti devono poi investire pesantemente per produrre o acquistare contenuti, organizzarli in palinsesti, strutturare la raccolta della pubblicità. Ricapitolando. In un caso, le frequenze per le tv, si tratta di asset che i broadcaster storici hanno già abbondantemente pagato, riconsegnato in parte allo Stato e che ora potrebbero riottenere se il beauty contest avesse esito positivo. Nell’ altro caso, le frequenze per le tlc, si tratta di un bene totalmente nuovo, sottratto al sistema televisivo, e pronto all’ uso per nuove opportunità di business. Un’ ultima osservazione riguarda il ruolo di servizio universale della tv gratuita. E’ una garanzia per tutti i cittadini di un’ offerta di qualità nell’ informazione e nell’ intrattenimento, un bene di democrazia che val la pena di difendere. I servizi che gli operatori telefonici offriranno sulle nuove frequenze saranno invece solo a pagamento", conclude Gina Nieri.