Quante volte abbiamo osservato come il peccato originale del passaggio dall’analogico al digitale terrestre fosse la pretesa equivalenza di un canale analogico con un multiplexer digitale?
Tale assurdità aveva generato un consolidamento della posizione dei superplayer (RAI e Mediaset) senza risolvere il problema dell’indisponibilità di risorse per i nuovi entranti e lo sfruttamento eccessivo delle risorse scarse (frequenze), finendo con causare interferenze ai paesi esteri con effetti destabilizzanti sull’intero sistema (continue revisioni delle assegnazioni, sedimentazione di provvedimenti di organi giurisdizionali, ecc.), di cui hanno fatto le spese soprattutto le emittenti locali.
Ora il bubbone è scoppiato in sede UE, con due sentenze della Corte di Giustizia Europea chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale (giudice di rinvio il Consiglio di Stato sui ricorsi dei network provider Europa Way e Persidera, con domanda di pronuncia pregiudiziale proposta il 30/10/2015 in un caso e Persidera, con domanda di pronuncia pregiudiziale proposta il 02/07/2015 nel secondo).
Il merito della vicenda e’ particolarmente complesso e mostra un ramificazione di interessi commerciali e finanziari di prima grandezza.
In Italia, nel quadro della transizione dalla televisione analogica a quella digitale, su cui pende tuttora una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nel 2006, si e’ reso necessario attribuire le frequenze DTT (multiplex) ai vari operatori. L’assegnazione era stata suddivisa in tre gruppi: nel primo erano stati collocati i mux riservati alla trasformazione delle reti televisive analogiche preesistenti in reti televisive digitali (con la predetta equivalenza 1 canale analogico = 1 mux digitale); il secondo riguardava i bouquet da assegnare a operatori di rete che avevano investito nella creazione di reti digitali; il terzo era relativo alle nuove frequenze supplementari, cioe’ il cosiddetto “dividendo digitale interno” (quello “esterno” riguardava le frequenze da assegnare alle telco per lo sviluppo della banda larga mobile).
Per quanto riguarda il dividendo interno, l’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni aveva approvato nell’aprile 2009 una delibera con cui stabiliva una procedura per consentire l’assegnazione a titolo gratuito dei diritti di utilizzazione delle frequenze a soggetti ritenuti idonei sulla base del possesso di determinati requisiti (cd. “beauty contest”, cioè il progetto più “appetibile” e “fondato”).
La delibera era stata poi recepita dalla legge n. 88/2009, mentre tre anni dopo il Ministero dello sviluppo economico aveva sospeso la gara, definitivamente annullata dalla legge 44/2012.
Di qui la delibera Agcom per l’aggiudicazione delle frequenze all’offerta economicamente piu’ elevata a seguito di una gara con rilanci competitivi, con base d’asta fissata per ogni lotto a 30 milioni di euro. In tale delibera di gara onerosa veniva, tra l’altro, ridotto da cinque a tre il numero dei nuovi multiplex digitali da assegnare e veniva sancita l’esclusione dalla gara degli operatori di rete gia’ in possesso di tre o piu’ bouquet.
Alla gara, come noto, aveva partecipato un solo concorrente: una società del gruppo Cairo (titolare del fornitore di contenuti “La7”) che era risultata aggiudicataria del Lotto 3 (costituito dai canali UHF 25 e 59, cioè i più appetibili, posto che le restanti non apparivano francamente attraenti per nessun broadcaster, considerati i limiti tecnici di utilizzo e sfruttamento) ed assegnataria dei diritti d’uso delle relative frequenze, con provvedimento del ministero del 31/07/2014.
Per quanto riguarda la transizione dall’analogico al digitale delle frequenze dei primi due gruppi, l’Agcom, per ovviare ad una censura sollevata dalla Commissione europea con la procedura di infrazione, abbandono’ il criterio di conversione originariamente previsto, detto “alla pari” (in base al quale a una frequenza analogica detenuta da un operatore doveva corrispondere una frequenza digitale), rispetto a Rai, Mediaset e Telecom Italia Media (ora Persidera) e aveva invece stabilito di ridurre di una unita’ le frequenze analogiche che detenevano tali societa’.
Dopo l’applicazione di questo criterio, quindi, Rai e Mediaset, inizialmente titolari di tre frequenze analogiche, avevano ricevuto in assegnazione due frequenze digitali, mentre Persidera, inizialmente detentrice di due canali analogici, aveva ottenuto un solo bouquet DTT.
Ora, attraverso i pronunciamenti in esame, la Corte ha rilevato che, ai fini della conversione dall’analogico al digitale, “non si e’ seguito un criterio proporzionale nella diminuzione numerica delle frequenze e, inoltre, il numero di partenza delle frequenze analogiche e’ stato determinato tenendo conto anche di quelle utilizzate dalla Rai e da Mediaset in violazione del diritto della concorrenza (in particolare, Rai 3 e Rete 4)”.
Pronunciamenti di cui ora i giudici nazionali (nel caso di specie il Consiglio di Stato) dovranno tenere conto, con effetti potenzialmente imprevedibili per un sistema già magmatico, anche se la prossimità della riscrittura delle assegnazioni in vista della riduzione del parco frequenze per la destinazione della banda 700 MHz alle telco ed il conseguente passaggio al DVB-T2 potrebbe suggerire di attendere per riequilibrare in quella sede il comparto seguendo i principi dettati dai giudici sovranazionali. (M.L. per NL)