Desta preoccupazione l’orientamento assunto dal Ministero dello Sviluppo Economico- Comunicazioni con riguardo all’applicazione, agli operatori di rete locali in DVB-T delle aree digitalizzate, dei pesanti contributi previsti dagli artt. 34 e 35 del D.L.vo n. 259/2003 e s.m.i. (Codice delle Comunicazioni Elettroniche).
Le determine con cui il Dicastero ha assegnato i diritti d’uso temporanei delle frequenze terrestri in tecnica digitale riportano, infatti, un articolo (art. 7) che stabilisce l’obbligo, in capo agli assegnatari, del pagamento dei diritti amministrativi di cui al citato art. 34, nella misura prevista dall’allegato n. 10 al medesimo decreto, ed inoltre l’obbligo del versamento “di un contributo per la concessione dei diritti d’uso delle frequenze radio, fissato dal Ministero dello Sviluppo Economico-Comunicazioni, sulla base dei criteri stabiliti dall’Autorità come previsto dall’art. 35 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche. In sede di prima applicazione si applicano i contributi nella misura prevista dall’allegato n. 10 del citato Codice”. Questo allegato, a cui si rinvia per la determinazione delle somme dovute, prevede però degli importi che risultano proibitivi per gli operatori di rete televisivi operanti in ambito locale. In merito ai diritti amministrativi, in esso è stabilito che le imprese autorizzate all’installazione e fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull’impiego di radiofrequenze, sono tenute al versamento di un contributo annuale, determinato sulla base della popolazione potenzialmente destinataria dell’offerta, e fissato da un massimo di 111.000,00 euro (per la copertura dell’intero territorio nazionale) ad un minimo di 27.750,00, per un territorio sino a 200.000 abitanti, mentre per la copertura sino a 10 milioni di abitanti è previsto l’importo di 55.500,00 euro. Se già questi numeri fanno drizzare i capelli agli operatori di rete televisivi locali in DVB-T, la situazione peggiora considerati i contributi dovuti ai sensi del citato art. 35 ed indicati all’art. 2, commi 7 e 8, dell’allegato n. 10. E’ previsto, infatti, al comma 7 che “I titolari di diritti di uso di frequenze radioelettriche per l’espletamento di servizi di rete diffusiva TV sono tenuti al pagamento dei contributi annui di seguito indicati: a) per larghezza di banda fino a 100 KHz esclusi 1.110,00 euro; da 100 KHz inclusi a 1 MHz escluso 5.550,00 euro; da 1 MHz incluso a 10 MHz esclusi 11.100,00 euro; da 10 MHz inclusi 22.200,00 euro”. Il successivo comma 8 recita che “I titolari di diritti di uso di frequenze radioelettriche per l’espletamento di servizi di rete di contribuzione televisiva punto-punto o punto-multipunto sono tenuti al pagamento dei contributi annui di seguito indicati: a) per larghezza di banda fino a 100 KHz esclusi 1.110,00 euro; da 100 KHz inclusi a 1 MHz escluso 5.550,00 euro; da 1 MHz incluso a 10 MHz esclusi 11.100,00 euro; da 10 MHz inclusi 22.200,00 euro”. Si comprendono, dunque, le agitazioni portate avanti in questi giorni dalle associazioni di categoria, che stanno opponendo a queste previsioni il dettato dell’art. 17, comma 2-bis, del Decreto Legislativo n. 177/2005 e s.m.i. Tale disposizione, introdotta dal c.d. Decreto Romani (D.L.vo n. 44/2010), rinvia appunto ad un apposito regolamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni diretto ad uniformare i contributi previsti per le diffusioni su frequenze terrestri in tecnica analogica a quelli previsti per le diffusioni in tecnica digitale. Il regolamento dell’Agcom consentirebbe certamente di mantenere una continuità rispetto agli oneri previsti in ambiente analogico, dove i soggetti titolari di concessione o di autorizzazione per lo svolgimento dell’attività televisiva sono tenuti a corrispondere annualmente il canone di concessione, determinato sull’1% del fatturato conseguito nell’anno precedente, con un limite massimo, per le tv locali, di euro 17.776,00. L’intervento dell’Agcom risulta dunque necessario ed urgente per definire la querelle, anche se, nel frattempo, saranno sicuramente numerosi i ricorsi al Tar che gli operatori di rete avanzeranno avverso l’art. 7 delle determine, che attribuisce al Ministero il potere di fissare l’ammontare dei contributi “sulla base dei criteri stabiliti dall’Autorità”, con ciò contrastando la norma speciale contenuta al citato art. 17, comma 2-bis, del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, che delega l’Agcom stessa alla determinazione dei contributi dovuti. (D.A. per NL)