Secondo il dati del ventunesimo “Studio economico del settore televisivo privato italiano” curato da Confindustria Radio Tv le Tv locali "rappresentano sempre la quarta forza del mercato televisivo italiano (la terza senza la Rai), con una quota del 6,2% ma arretrano sempre di più sia in termini di ricavi, margini operativi e numero di dipendenti".
Per l’ente esponenziale "a preoccupare particolarmente è il saldo utili/perdite del settore, saldo sempre positivo fino al 2007 ma negativo dal 2008 al 2013 per un totale di -256 milioni di euro. Senza il sostegno dei contributi erogati a favore delle Tv locali le perdite sarebbero molto più alte e probabilmente il comparto si sarebbe estinto già da tempo. E’ infatti evidente che per un’impresa la perdurante contrazione degli investimenti pubblicitari, il costante decurtamento dei contributi pubblici e gli asfissianti e costosi adempimenti burocratici e amministrativi non è più possibile reggere ancora oltre". Per il sindacato il problema principale è che "Il sistema televisivo locale non può più mantenere il numero spropositato di soggetti attualmente operanti. Cinquecento Tv locali (110 solo in Sicilia) sono troppe". La cura proposta è scontata: "Bisogna dunque agire senza indugiare oltre per la salvaguardia di migliaia di posti di lavoro attraverso il riordino del comparto, riordino che deve avere un progetto chiaro e non essere lasciato al caso o all’improvvisazione come è avvenuto, purtroppo, con il passaggio al DTT". Un’affermazione che stride con l’evidente corresponsabilità dei sindacati di categoria nella cattiva gestione del passaggio al DTT, con gli infausti avvalli a due delle principali cause del dissesto attuale: la conversione 1 canale analogico 1 mux digitale, che ha determinato la spaventosa moltiplicazione di marchi-palinsesto fotocopia privi di contenuto sostanziale e il mancato supporto all’ipotesi di adozione degli LCN a tre cifre (modello Sky), che avrebbe reso praticamente indifferente la collocazione di un programma su un numero basso rispetto ad uno alto (evitando la ghettizzazione di tutti i contenuti locali collocati oltre la diciannovesima posizione del primo arco di numerazione). Le rappresentanze dei network provider DTT locali sembrano infatti scoprire l’acqua calda e, fuori tempo massimo, per esempio, hanno lanciato l’allarme sulla soppressione dei canali incompatibili con le emissioni estere. Proprio loro che, solo qualche anno fa, sedavano gli animi dei propri associati con le tranquillizzanti parole dell’allora ministro Paolo Romani. La domanda alla luce dell’affermazione della CRTV è: perché ciò che era evidente già ai tempi non fu contestato? Dov’erano i sindacati in quel frangente? "Non si può continuare in questo modo – aveva dichiarato qualche tempo fa Maurizio Giunco, presidente dell’Associazione Tv locali della CRTV (ex FRT) a riguardo dell’allucinante gestione della problematica interferenziale con gli stati esteri (uno dei tanti pasticci figli della gestione a "porte chiuse" delle assegnazioni frequenziali, che, se non voluta, certamente non fu stigmatizzata come invece perspicacia, buon senso e senso del diritto avrebbero voluto) – Le istituzioni dovrebbero garantire regole certe e non discriminatorie, altrimenti si finirà per compromettere la stessa continuità aziendale". Eppure molte di quelle regole incerte e discriminatorie portano l’avvallo dei portavoce delle emittenti locali. (M.L. per NL)