"I contributi annuali che tutti gli operatori di rete titolari di diritti d’uso di frequenze nelle bande televisive terrestri, in ambito nazionale e locale, sono tenuti a pagare, qualunque sia la tecnologia utilizzata per la fornitura di servizi di diffusione televisiva, dovranno essere corrisposti solo successivamente all’emanazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, di un provvedimento che dovrà specificarne le modalità di pagamento".
E’ questa la linea di condotta suggerita da Confindustria Radio Televisione, "confermata per le vie brevi dall’Avv. Provenzano dell’Agcom". Confindustria Radio Televisioni, "già confortata in tal senso dal proprio Ufficio legale, ha ritenuto comunque opportuno rivolgersi all’Agcom dopo le molte telefonate ricevute, da parte delle emittenti televisive locali associate, che chiedevano insistentemente se fossero tenute a pagare il contributo entro il prossimo 31 ottobre così come previsto, con la vigenza del precedente regime analogico dal decreto interministeriale 23 ottobre 2000. Viene confermato quindi che le aziende televisive (quelle radiofoniche operando invece in analogico dovranno corrispondere il canone di concessione entro la fine del mese ai sensi del già citato Decreto interministeriale 23 ottobre 2000) "al momento, e comunque non prima dell’emanazione di un apposito provvedimento ministeriale, non dovranno procedere al pagamento del contributo annuale. Sulla questione va ricordata anche la recente dichiarazione del sottosegretario allo Sviluppo Economico Antonello Giacomelli dinanzi alla commissione parlamentare di Vigilanza: «La mia idea è trovare una modalità che consenta al Governo di rinviare di un anno le determinazioni dell’Agcom, con un regime provvisorio che proroghi le disposizioni precedenti». L’esponente dell’esecutivo si riferiva nell’occasione all’ipotesi di prorogare per un anno l’attuale regime che prevede il pagamento dell’1% del fatturato per l’utilizzo delle frequenze DTT. La dichiarazione di Giacomelli si collocava nell’aveo della vexata quaestio sulla rideterminazione dei criteri per il pagamento dei canoni per l’uso dei canali del digitale terrestre introdotto dalla recente delibera Agcom (peraltro già censurata dalla Commissione UE). Con un piglio polemico, l’esponente dell’esecutivo aveva precisato che era stato "chiesto all’Agcom di soprassedere per diverse ragioni. La principale è che il quadro normativo non ha mai preso atto del passaggio dall’analogico al digitale, che ha separato il mercato in due tipologie distinte: operatori di rete e fornitori di contenuti. È proprio sulla base di questo concetto che stiamo rimodulando la normativa sulle tv locali". "Inoltre – aveva aggiunto Giacomelli – il concetto della parità di gettito rimane fondamentale, ma va declinato su un mercato cambiato. Per questo occorre un tipo di articolazione che la delibera non ha, comportando il rischio che si sposti l’onere economico verso l’emittenza locale". Per conseguenza il target era di "arrivare a un intervento normativo per il passaggio dall’analogico al digitale che consentirebbe di spiegare all’Europa il senso dell’azione italiana e di arrivare più facilmente a una chiusura della procedura di infrazione aperta dall’Ue", aveva concluso il sottosegretario. L’Autorita’ della comunicazioni con la decisione presa la settimana scorsa con la delibera sul canone per l’uso delle frequenze “ha fatto la sua parte lasciando al governo la discrezionalita’”. Per parte propria, il presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani, in audizione alla medesima commissione sullo stesso argomento aveva precisato qualche giorno prima: “Noi come Autorita’ siamo convinti e Giacomelli per quel poco che conosco lo fara’, lo ha detto, che il governo prendera’ la delibera e ci aggiungera’ del suo come e’ giusto che sia”. Il provvedimento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva determinato una presa di posizione netta e contraria della Commissione UE, che, con una nota pubblicata da NL quasi in forma solitaria, aveva richiamato l’attenzione dell’ente regolatore sulla delicatezza della questione. Infatti, le tariffe per l’utilizzazione dei canali per la radiodiffusione televisiva terrestre fissate da Agcom, secondo la Commissione, avrebbero favorito gli operatori nazionali esistenti (che avrebbero pagato meno di oggi per lo svolgimento della loro attività) penalizzando pesantemente i network provider locali e i cd. "nuovi entranti" (che difficilmente sarebbero riusciti a stare sul mercato). Nel merito, la Commissione Europea, temendo un consolidamento del duopolio in pendenza della chiusura della procedura d’infrazione avviata a seguito del caso Europa 7, il 18 luglio 2014 aveva inviato ad Agcom e al Ministero dello Sviluppo Economico una nota dal tono inequivocabile sia su tale argomento (con particolare riferimento all’assegnazione di uno dei tre lotti del dividendo digitale interno all’unico richiedente, il gruppo Cairo) che, appunto, sulla vicenda "canoni" (qui il testo integrale). Raccogliendo le doglianze degli operatori di rete locali, Bruxelles aveva, senza mezzi termini, bacchettato nuovamente le autorità italiane, che, scrivevamo, avrebbero dovuto prendere atto delle vincolanti indicazioni comunitarie (impartite sulla base del principio di "leale cooperazione" che vincola gli stati membri dell’UE) disponendo gli adeguamenti alle indicazioni sovranazionali, pena l’apertura di nuove procedure per la verifica di eventuali infrazioni al diritto europeo. L’Autorità aveva quindi deciso, opportunamente, "di non procedere per il momento all’approvazione della delibera, alla luce dell’intendimento del Governo, comunicato dal Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico, di adottare modifiche al vigente assetto legislativo della materia nel prossimo mese di settembre". La decisione dell’Autorità, teneva a precisare l’ente, "è stata assunta nello spirito di leale collaborazione che caratterizza, nel rispetto della reciproca indipendenza, i rapporti con gli Organi costituzionali". Poi, invece, il nuovo cambio di rotta, con la pubblicazione del nuovo provvedimento che ricalcava il precedente. L’accesa discussione per lo ‘sconto’ che ne sarebbe derivato per Rai e Mediaset rispetto a quanto versato negli anni precedenti aveva poi sviluppato un confronto politico. Nella delibera l’Autorita’ aveva suggerito la possibilita’ di una applicazione progressiva dei nuovi criteri, basati sul prezzo dell’asta delle frequenze assegnate a Cairo, in maniera progressiva mediante un’applicazione graduale per otto anni del nuovo regime. In questa fase la meta’ di quelle che erano le risorse complessive incassate dallo Stato, sarebbero a carico dei due incumbent, Rai e Mediaset. Il regime concessorio nuovo stabilito dalla legge prevede infatti invarianza di gettito per lo Stato laddove a pagare non sono piu’ i broadcaster tradizionali ma con il passaggio al digitale gli operatori di rete o i soggetti titolari dell’utilizzo delle frequenze. Ovviamente a dir la propria saranno nuovamente i giudici amministrativi che a breve saranno investiti dai ricorsi già annunciati dalle emittenti locali, anche se l’annuncio di Giacomelli lascia presagire l’inopportunità della richiesta di una misura cautelare di sospensione del provvedimento dell’Agcom per insussistenza del periculum in mora. (M.L. per NL)