Il concorso di bellezza per l’attribuzione del digital dividend interno, congelato dal Ministero dello Sviluppo Economico con decreto dirigenziale 20/01/2012 per 90 giorni, continua a generare polemiche, alimentando una campagna di disinformazione giunta tra gli scranni del Parlamento.
Nella seduta della Camera dei Deputati del 7 febbraio scorso, infatti, l’iniziativa per chiedere conto delle modalità con le quali il Governo intenda "liberare" i canali dell’ex beauty contest l’ha presa l’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, rivolgendosi al rettore del dicastero dello Sviluppo Economico Corrado Passera con un’interrogazione parlamentare. Fin qui niente di scabroso, se non fosse per le (sconcertanti) conclusioni deferite all’attenzione del titolare del MSE, al quale si chiede chi abbia autorizzato l’uso delle risorse radioelettriche in questione, che il decreto 20/01/2012 classifica come "indisponibili". La notizia è stata intercettata da molti organi di informazione che, nella convinzione di dare uno scoop, hanno tacciato come abusive le emittenti che utilizzano i canali digitali in attesa di essere battuti all’asta. Gentiloni,peraltro, ha chiesto a Passera quando tali frequenze saranno liberate e se i relativi costi dovranno essere sostenuti dall’amministrazione pubblica. Se non fosse che l’interrogante è persona oramai avvezza alla politica, verrebbe da sorridere per la superficialità tecnica delle osservazioni manifestate e per la scarsa conoscenza del fatto storico. In Lombardia come nel Lazio, per citare gli esempi contenuti negli atti parlamentari, tutti (gli operatori, o comunque coloro che hanno un poco seguito le vicende successive alla migrazione al DTT) i canali ex beauty contest e del dividendo interno risultano assegnati a talune emittenti locali che, diversamente, sarebbero state ingiustamente escluse dalle attribuzioni di risorse atte alla prosecuzione delle trasmissioni in digitale terrestre. Sì, perchè purtroppo la politica si è resa conto tardi che la limitatezza delle frequenze a disposizione dello Stato non avrebbe consentito di soddisfare, soprattutto in Aree Tecniche particolarmente affollate, le legittime domande di assegnazione di diritti d’uso DTT agli operatori di rete, ex analogici o nuovi entranti (perché avevano acquisito risorse radioelettriche da soggetti già attivi, così comre previsto dalla normativa di specie). Chi nel settore ha vissuto sulla propria pelle il foro boario delle trattative tra MSE ed emittenti per la pianificazione digitale (che non è escluso possano carpire l’attenzione di qualche Procura delle Repubblica), sa bene come le transizioni al digitale terrestre siano state in larga parte mal gestite. La regia, questo è un fatto, era stata affidata (o avocata?) dal Governo Berlusconi allo stesso Presidente del Consiglio che – dopo l’esperienza Scajola – aveva assunto ad interim la reggenza del Ministero dello Sviluppo Economico, per poi incaricare Paolo Romani dei ritocchi finali. Le emittenti locali, ignare del futuro che l’Esecutivo aveva loro riservato, nella maggior parte dei casi, si erano viste notificare alla sera, via fax, l’avvio del procedimento amministrativo finalizzato all’assegnazione dei diritti d’uso sulle frequenze digitali terrestri e l’indomani mattina la relativa determina. Di lì a qualche giorno, gli stessi operatori si erano trovati a dover convertire i diffusori eserciti alla nuova tecnica trasmissiva spesso su bande completamente diverse dall’originarie (es. UHF/VHF) con immani problemi tecnici, economici e logistici. Il malcontento, ovviamente, aveva fatto da padrone tra le emittenti locali "minori", laddove per taluni si era registrato un oggettivo quanto apparentemente immotivato lauto incremento dell’area di copertura (infatti portato all’attenzione della magistratura penale) e per i più una pregiudizievole contrazione del relativo bacino d’utenza rispetto a quello servito in tecnica analogica, per l’insufficienza delle risorse disponibili nell’etere (circostanza, in questo caso, sottoposta al vaglio dei giudici amministrativi). Le attribuzioni, inoltre, avevano generato in molti casi fenomeni di incompatibilità elettromagnetica, peraltro vanificando gli ingenti investimenti sostenuti dalle locali. Questo, in estrema sintesi, il panorama al quale occorrerebbe riferirsi nel trattare la vicenda, con l’aggiunta che molte società ingiustamente pregiudicate hanno dovuto imboccare la strada dell’impugnazione delle determine di assegnazione dei diritti d’uso su frequenze digitali terrestri avanti al T.A.R. Lazio (funzionalmente competente in casi del genere), che ha in molti casi costretto il Ministero a rivedere le assegnazioni per sanare le disparità di trattamento perpetrate. A ciò si aggiunga la circostanza in base alla quale l’inadempienza della P.A. ha costretto le emittenti ricorrenti a procedere con i relativi giudizi di ottemperanza che in molti casi hanno portato ad attribuzioni compensative aventi per oggetto frequenze previste dal piano di assegnazione delle frequenze digitali terresti per il dividendo interno. Nessuno può smentire questa, benché sommaria, ricostruzione dei fatti e stupisce che neanche gli addetti ai lavori ne abbiano piena contezza. Fortunatamente, il ministro Passera, rispondendo all’onorevole Gentiloni, si è mostrato più informato del proprio interlocutore, cercando di stemperare la polemica ed affermando che prima di provvedere alla rimozione coatta delle sciagurate emittenti collocate su frequenze bollenti, "sarà necessario fare un’analisi seria ed approfondita sulle possibilità di utilizzo, che sono varie, di tali frequenze, anche nella consapevolezza delle scarsità delle risorse". Come a dire, non è tutt’oro quel che luccica e il Governo sarà chiamato a risolvere il problema, speriamo senza dover fucilare operatori che per il momento dal digitale terrestre hanno incassato solo dispiaceri. (S.C. per NL)