L’ennesimo bando per la formazione delle graduatorie dei fornitori di servizi di media audiovisivi in gran parte delle regioni italiane rischia di mettere nuovamente a dura prova un comparto che ormai da quasi dieci anni non riesce a trovare stabilità, introducendo (come se non bastasse) situazioni paradossali.
L’ultimo provvedimento licenziato dal Mise, come tutti i precedenti, paga lo scotto del peccato originale del passaggio dall’analogico al digitale, basato sull’utopica equazione 1 canale (analogico) = 1 mux (digitale) e sulla irragionevole previsione di un lucroso futuro come venditori di banda tv. La follia avvallata da operatori e dalle loro rappresentanze sindacali, dopo aver moltiplicato i soggetti esistenti (già eccessivi per un mercato dominato dai player nazionali) da 600 a quasi 4.000, polverizzando le risorse pubblicitarie e gli ascolti, ha decretato il colpo mortale snobbando l’unica soluzione che avrebbe potuto normalizzare la scelta degli utenti ponendo tutti i contenuti sullo stesso piano: gli LCN a tre cifre. Con la conseguenza che sono stati creati dei ghetti di numerazione automatica dove ben pochi soggetti sono riusciti ad emergere in questi durissimi anni. Ora che, nel bene e nel male, la situazione si era stabilizzata, la complessiva riassegnazione delle autorizzazioni per fornitori di servizi di media audiovisivi (di cui la presente procedura è un indigesto antipasto) rischia di minare nuovamente il comparto. Ciò in quanto tutti i content provider esistenti – per non pregiudicarsi qualsiasi opportunità futura – parteciperanno al bando; ma non tutti potranno trovare spazio sui mux residuati dalla riduzione dei canali destinati alla tv dopo la cernita del dividendo esterno (il primo, già concluso, per gli 800 MHz e il secondo, da avviare, per i 700 MHz) e delle incompatibilità internazionali. Salvo ovviamente che non si migri rapidamente al DVBT-2 (ma questa è un’altra storia). Come se non bastasse, il provvedimento ministeriale insinua il dubbio che le graduatorie così formatesi potranno essere utilizzate per le riassegnazioni degli LCN, prospettiva destabilizzante che potrebbe essere scongiurata solo con un provvedimento di natura legislativa che, cristallizzando l’esistente, neutralizzi gli effetti della riscrittura del nuovo piano di assegnazione dell’Agcom (estremamente penalizzante per le tv locali nella sua formulazione). Peraltro, la particolare enunciazione del bando determinerà almeno due paradossi. Il primo costituito dal fatto che il provvedimento porterà ad una miriade di fornitori di servizi media audiovisivi parificati su un punteggio uguale a zero, considerato che tutte le società editrici titolari di più titoli (gli ex concessionari hanno nella maggioranza dei casi 6 autorizzazioni FSMA) attribuiranno i punteggi discrezionali (dipendenti applicati) ai principali marchi/palinsesti eserciti (ex analogici) per non rischiare la perdita di posizioni in classifica e che i programmi ulteriori al primo o al massimo al secondo di norma non hanno rilevazioni d’ascolto. La seconda bizzarria è determinata dalla circostanza che, nel prossimo futuro, molti network provider che svolgono anche l’attività di content provider potrebbero trovarsi nella situazione assurda di dover privilegiare il trasporto di contenuti terzi rispetto ai propri. (M.L. per NL)