Caos e disinformazione regnano sulla questione della liberazione della banda 700 MHz per il potenziamento della banda larga e lo sviluppo della tecnologia LTE (anche ad uso broadcast). Dai motivi e i contenuti della decisione Europea alle bizzarre soluzioni politiche proposte ancora nulla si muove in Italia, se non le polemiche.
E’ esplosa nelle ultime settimane la questione riguardante la variazione degli standard di trasmissione nella tv digitale in concomitanza con la liberazione della banda 700 MHz. Come non è raro che accada in Italia, il messaggio che sta passando (con la complicità di buona parte degli organi di stampa del paese) è che l’Europa imponga ai paesi membri di far migrare le proprie emittenti televisive al digitale di seconda generazione, il DVB-T2. Ovviamente questo non corrisponde alla realtà, in quanto l’UE, come già ampliamente discusso su questo periodico, ha chiesto solamente di portare a termine qualcosa di cui si discute ormai da diversi anni e cioè liberare la banda 700 MHz; oltretutto, la stessa scadenza del 2020 non è una novità: il tanto chiacchierato rapporto Lamy, risalente al 2014 e accolto festosamente da associazioni e broadcaster, prevedeva il medesimo termine, ma con una tolleranza di due anni (che è stata evidentemente tradotta in scadenza dai lettori). Dunque l’Europa ha mantenuto i medesimi termini, ma eliminato lo spazio di manovra fino al 2022, al fine di evitare problemi d’interferenze fra gli stati confinanti. Il problema è che l’Italia ha ignorato una serie di problematiche che hanno finito per accavallarsi una sull’altra. Il tanto chiacchierato T2, è semplicemente un’evoluzione tecnologica del DTT che, in quanto tale, sarebbe se non altro auspicabile non tanto per fare posto dove non ce n’è, quanto per fornire un servizio al passo con i tempi; questa evoluzione era addirittura già pronta al momento dello switch-off del segnale analogico, ma si è preferito rimandare per ragioni legate ai costi del servizio. E quando ancora si è iniziato a parlare della banda 700 per favorire le connessioni mobili, l’Italia ha continuato a ignorare il problema, guardando dall’altra parte ed evitando di muoversi con le misure necessarie. Così sono passati anni e il DVB-T2 è diventato l’idea per fare un nuovo pasticcio tutto italiano, del quale si parla adesso soltanto perché consentirebbe di ospitare tutti i multiplex attualmente attivi nel nostro paese sui 700 MHz nella porzione di banda ristretta dopo la destinazione di tale frequenze ai provider tlc grazie ad una compressione di banda che, secondo alcune stime, potrebbe raggiungere il 40% ed evitare quindi di escludere le emittenti esistenti; c’è però un problema da non sottovalutare: gli apparecchi attualmente utilizzati dagli utenti della tv digitale terrestre, non sono compatibili con il T2 e quindi l’Italia tornerebbe nell’incubo switch-off (con tutte le conseguenze che comporta e che ben ricordiamo), stavolta fra l’altro senza la possibilità del simulcasting; si sarebbe potuto evitare, ma ormai la situazione è questa, il pasticcio è stato fatto. Viene però da chiedersi perché l’opinione dei player del settore e delle istituzioni sembra propendere verso la soluzione più costosa per i consumatori. Nonostante alcuni operatori insistano nel sostenere che ne vada della capacità del digitale terrestre di essere competitivo nel mercato con le altre piattaforme, la realtà è che l’evoluzione assunta dal dibattito evidenzia proprio la disparità di trattamento in favore degli operatori del digitale stesso; il nodo sta tutto nella convergenza di interessi che è stata provocata dal rinnovo delle concessioni. Nel 2012, infatti, il governo Letta le prolungò fino al 2032; dunque, al momento, gli interessi di istituzioni e broadcaster convergono verso l’evitare che qualche emittente perda il proprio posto: per i secondi la ragione è ovvia mentre, per i primi, il motivo sarebbe evitare di dover sborsare degli indennizzi (o addirittura risarcimenti) per le concessioni interrotte con 12 anni di anticipo. Ed è proprio questo interesse comune l’unica reale ragione per la quale si discute la possibilità di caricare questa spesa sui consumatori, costretti a cambiare televisori o, al massimo, prendere un decoder T2; tanto più che, osservando a chi il processo di liberazione l’ha già concluso, i proventi delle aste hanno le carte in regola per riuscire a coprire i sopracitati indennizzi. Ci sono però delle ulteriori considerazioni da fare: in primo luogo, non è detto che proprio tutti i broadcaster ospitati sulla banda 700 abbiano voglia di continuare, vista la ghiotta occasione di intascarsi un indennizzo rilevante e uscire dal mercato senza troppi dolori. Inoltre, sebbene nel breve periodo gli operatori riuscirebbero a continuare le trasmissioni, ci sarebbe da interrogarsi su quanto i consumatori sarebbero disposti ad affrontare le spese preventivate per assecondare un nuovo standard che permetterebbe di ricevere la stessa quantità di canali attuali (tra reali, fotocopia e spazzatura) e quanto invece questo finirebbe per tradursi in un vantaggio competitivo per chi utilizza altri sistemi di trasmissione, dal satellite alle Iptv, che molti utenti già utilizzano. La situazione, insomma, è diventata un vero e proprio campo minato e forse sarebbe il caso di guardare a quei paesi che hanno già affrontato il problema, cosa che in Italia non ci piace proprio fare. La Francia, ad esempio, ha già completato l’asta per la banda 700 e il traguardo è stato possibile mantenendo ancora il DVB-T ma codificando le trasmissioni in MPEG4; quest’ultimo, introdotto per i canali in alta definizione, consente un netto risparmio di banda, al punto che oltralpe alcuni canali SD in MPEG2 (la codifica attuale) finiscono per occuparne di più di altri in HD codificati in MPEG4. Questa soluzione, tuttavia, avrebbe il difetto di ritardare ancora il passaggio allo standard T2 e, di questi tempi, lasciare invecchiare le tecnologie prima di adottarle non è la scelta preferibile, soprattutto nel comparto media. Ci sarebbe anche la soluzione adottata dalla Svizzera: spostare tutti i canali HD e 4k su satellite; fra l’altro, l’Italia avrebbe già a disposizione la piattaforma Tivùsat e l’adeguamento tecnico sarebbe richiesto, in questo modo, solo agli utenti che cercano una qualità di servizio superiore alla media; oltretutto, non è da sottovalutare la possibilità di un trasferimento anche di Mediaset Premium su satellite, a seguito della sempre più vicina cessione a Vivendi che la accorperà a Canal+. Un’ultima strada è quella di chiedersi quanto effettivamente sia necessario che proprio tutte le emittenti che sono oggi sulla tv digitale sopravvivano; se guardiamo a come la banda è occupata oggi, e tenendo per buone emittenti nazionali e anche locali, ci ritroviamo con una selva di canali di televendite, canali +1 e fotocopie; è davvero opportuno impiegare la banda in questo modo? Purtroppo uno sfoltimento delle emittenti sarebbe comunque e in ogni caso qualcosa di arbitrario, sui cui criteri bisognerebbe discutere. Alla fine della fiera, però, le strade da percorrere non mancherebbero ma, come al solito, in Italia si preferisce preservare gli interessi di pochi e poi difendersi con un sempre verde “ce lo chiede l’Europa”. (E.V. per NL)