La questione banda 700 MHz è sempre più accesa, anche se i broadcaster potrebbero appoggiare e investire in opportunità come l’LTE broadcast come stanno facendo operatori esteri; a far paura, probabilmente, è il fatto che la rinuncia al "ferro" possa spingere le emittenti a giocare soltanto su un campo nel quale non sempre eccellono: i contenuti.
Sembra non riuscire a raggiungere una conclusione la polemica che ruota attorno alla banda 700 MHz che i broadcaster televisivi dovranno cedere agli operatori tlc. Il nodo della questione è sempre lo stesso: l’Europa chiede che le frequenze in questione siano liberate in favore delle telco entro il 2020, limite che i broadcaster italiani definiscono fantascientifico, chiedendo che sia spostato fino ad almeno il 2022. Il punto sul quale le emittenti televisive esercitano maggiori pressioni è il fatto che la banda sub-700 non sia sufficiente ad ospitare anche i mux trasferiti; da qui tutte le discussioni sul digitale di seconda generazione, l’arretratezza italiana ancora ferma allo standard MPEG2 e le necessità di nuovi televisori o decoder per gli utenti. Quello che gli operatori (così come le istituzioni ministeriali che fanno come sempre da garanti per la televisione) dimenticano di ricordare è che in realtà cambiare destinazione alla banda 700 porterà nelle loro tasche un enorme vantaggio che si chiama LTE broadcast. Tecnologia della quale si parla molto poco (chissà perché), si basa sul semplice principio che sia più efficiente diffondere un solo flusso di dati condiviso per tutti gli utenti che non produrne uno ad hoc per ogni singolo fruitore della rete; un sistema che potrebbe consentire eccellenti prestazioni anche con numerosi accessi, come ad esempio nel corso di importanti eventi (ci sono ad esempio state sperimentazioni nel corso del Superbowl). Lo scopo sarebbe ovviamente quello di superare il limite spaziale che attualmente affligge la capacità delle connessioni mobili e non è affatto un caso che un colosso come Verizon abbia deciso di associarsi ad altri tre operatori del settore (Telstra, Korea Telecom e EE) proprio al fine di unire i propri bacini di utenza e portare maggiori investimenti nell’LTE broadcast. E questa prospettiva assume maggior valore soprattutto se si considera che anche lo spostamento delle tv alla banda sub-700 non è destinato all’eternità: che la migrazione di cui si discute ora sia ultimata per il 2020 o il 2022, in ogni caso, l’ITU ha già previsto di liberare anche questa entro il 2030 e di iniziare a parlarne per il 2023; stiamo dicendo, in pratica, che se le richieste dell’Italia fossero accontentate, i broadcaster avrebbero appena il tempo di sistemarsi tutti nella banda sub-700 (con inevitabile taglio di svariate teste) che già dovrebbero iniziare a parlare di sloggiare anche da lì. Gina Nieri, consigliere di amministrazione per Mediaset, sostiene che “tutti sono sicuri che il contenuto video rimarrà centrale. Siccome noi di quello ci interessiamo e lo sappiamo fare, siamo tranquilli”; sicuramente quelli video sono i contenuti che, anche online, creano più engagement e hanno più successo fra il pubblico. Il problema però è un altro: se le emittenti dovessero accettare il cambio di paradigma verso quelle tecnologie realmente digitali (non come la tv, che lo è solo di nome) e accogliere come l’innovazione che è l’LTE broadcast dovranno accettare i cambiamenti conseguenti nell’ambito towering; questo tipo di diffusione, infatti, abbraccia la logica del low tower low power, che in svariate occasioni abbiamo descritto su questo periodico e che nulla ha a che spartire con gli attuali asset in mano a player quali Mediaset o Rai. Anche qui, non è affatto un caso che la partita per le torri Inwit sia così importante; le torri degli operatori tlc sono sempre state progettate secondo questa logica che, se verrà abbracciata dal mondo televisivo, toglierà alle televisioni il potere di creare contenuti e diffonderli autonomamente. A quel punto allora, davvero, si avvererà la vecchissima profezia di Bill Gates: “content is the king”, diceva il magnate statunitense. Perché, se davvero saranno soggetti esterni ai produttori di contenuti a decidere cosa sia un contenuto che valga la pena diffondere e cosa no, siamo davvero sicuri che proprio tutto quello che si trova oggi sulla tv digitale sopravvivrà? Forse, a fare realmente paura alle emittenti è questo e, da qui, la reale natura dell’intenzione di ritardare la partita il più possibile. (E.V. per NL)