Come tutti sanno (o dovrebbero sapere), lo spettro elettromagnetico è un bene pubblico ed è considerato una risorsa scarsa, quindi preziosa.
Una risorsa per i cui diritti d’uso si corrisponde (quasi) sempre un contributo allo Stato. Un tempo le praterie sconfinate delle frequenze erano quasi deserte. Poi sono arrivate le emittenti radio-TV commerciali, poi ancora i cellulari, ora l’internet mobile. La compatibilizzazione di tutti questi servizi tra loro e con le preesistenti utilizzazioni pubbliche (tipicamente del Ministero della difesa) è sempre stata particolarmente complessa, per non dire conflittuale. Adesso però l’assalto della larga banda in mobilità sta mettendo in crisi equilibri già di per sé traballanti, minacciando di cancellare o inglobare tutto il resto nella convergenza digitale, ben impersonata dai nuovi dispositivi mobili “intelligenti”. Le esigenze frequenziali dei nuovi servizi di comunicazione sono tali da lasciare ben poco spazio al resto del mondo, come ben evidenzia in una recente intervista al Corriere delle Comunicazioni Roberto Viola, segretario generale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; il quale si spinge a dire che, se per l”internet delle persone” saranno sufficienti i 300 Mhz della prossima asta LTE, per l’”internet delle cose” ci vorrà almeno 1 Ghz, ovvero tre volte tanto. Cosa si intende per “internet delle cose”? La disseminazione, invero un po’ inquietante, di micro-dispositivi wireless, sensori che saranno in grado di comunicare con l’ambiente circostante, connettersi e scambiare informazioni in ogni tempo e situazione. Una realtà che, in un paese che a malapena comincia a capire cos’è la rete, sembra un tantino di là da venire. Incombenti invece sono le esigenze di chi ha investito su radio e tv digitale, convinto da mirabolanti prospettive di un futuro nel ruolo di provider; e che ora si trova a dover lasciare spazio ai “veri” operatori di rete. Su questo versante Viola si dimostra assai meno entusiastico ma vagamente consolante quando dice che “trovare fondi ulteriori per le emittenti locali non sarebbe sbagliatissimo” e che “la radio ha una tale ricchezza di operatori in Italia che sarebbe poco immaginabile il fatto di sottrarle frequenze”. Considerazione che probabilmente valeva anche per le TV, dove però il poco immaginabile si è fatto ben presto concreto. E la Difesa? Mollerà le frequenze, senza alcun dubbio. Per tutti ci saranno compensazioni, in questo mondo di magnifiche sorti e progressive, dove l’asta LTE potrebbe fruttare addirittura 2,9 miliardi di euro grazie anche alla partecipazione di Postemobile (cioè del Ministero dell’economia, che paradossalmente si autofinanzierebbe…). Un bell’esempio di wishful thinking, che speriamo Tremonti non sia costretto a demolire l’anno prossimo a colpi di tagli della spesa pubblica. (E.D. per NL)