Il TAR Lazio continua a demolire, con ordinanze e sentenze, le controverse procedure ministeriali di assegnazione dei diritti d’uso per le frequenze DTT o di attribuzione dei logical channel number (LCN).
Ormai l’impalcatura che regge, in particolare, la migrazione tecnologica nell’Area Tecnica 3 (Lombardia e Piemonte) sta vacillando seriamente, minata com’è stata dalle fondamenta da continui ordini di riesame di procedure farraginose, sommarie o incomplete e da nomine di commissari ad acta chiamati a far quel che il dicastero di Paolo Romani non vuole o non riesce a fare. L’ultimo, durissimo, colpo assestato dal TAR Lazio a Viale America 201 è relativo al mancato avvio di un procedimento per l’assegnazione di un identificatore LCN nell’Area Tecnica 3. Infatti, con sentenza depositata in cancelleria nei giorni scorsi, i giudici amministrati laziali hanno accolto un ricorso di un fornitore di servizi di media audiovisivi lombardo per l’annullamento del silenzio rifiuto formatosi sulla richiesta di assegnazione di due specifici numeri dell’ordinamento automatico dei canali della televisione digitale terrestre per un palinsesto a marchio unico diffuso in province dove tali LCN non risultavano assegnati a terzi operatori (e quindi ben potevano essere riassegnati ad aventi titolo). Nel merito, la ricorrente aveva presentato al Ministero dello sviluppo economico, nel dicembre 2010, la domanda di cui in apertura, alla quale l’intimata Amministrazione, a distanza di tre mesi, non aveva provveduto in alcun modo. Non essendo prescritto un termine specifico per il procedimento, la ricorrente aveva quindi adito il Tribunale amministrativo per veder annullato il silenzio rifiuto formatosi sulla propria domanda e veder ordinato al Ministero dello sviluppo economico di provvedere espressamente. Si costituiva in giudizio la resistente Amministrazione esponendo di non essere tenuta ad esaminare la richiesta formulata, avendo a suo tempo già disaminato la posizione della ricorrente alla quale erano stati attribuiti numeri LCN per 3 marchi/palinsesti a fronte di 13 richieste. In ragione di ciò, osservava la P.A., la posizione relativa al marchio controverso sarebbe risultata già vagliata con esito negativo, potendo desumersi ciò dal fatto che il marchio/palinsesto per il quale erano stati richiesti gli LCN inutilizzati risultava nell’elenco degli esclusi della Regione Lombardia (in quanto corrispondente al 7° marchio richiesto). Spiegazione che tuttavia non convinceva il Collegio, per il quale il ricorso non era affatto inammissibile come preteso dall’Amministrazione resistente, atteso che l’istanza su cui si era formato il contestato silenzio-rifiuto si fondava sulla possibilità di assegnare eventuali numerazioni rimaste inutilizzate in una o più province (possibilità questa normativamente prevista). Non trattandosi, quindi, di una richiesta di riesame in senso proprio, rilevavano i giudici amministrativi che il dovere di provvedere potesse scaturire non solo da puntuali previsioni legislative o regolamentari, ma anche dalla peculiarità della fattispecie, nella quale ragioni di giustizia o equità imponevano l’adozione di provvedimenti o comunque lo svolgimento di un’attività amministrativa, alla stregua dei principi posti in via generale dall’art. 97 Cost.. Sotto questo profilo, osservava il TAR come fosse "oramai definitivamente sancita l’intrinseca illegittimità del silenzio – rifiuto, in relazione all’obbligo di conclusione del procedimento amministrativo, imposto dall’art. 2, l. 7 agosto 1990 n. 241, con un provvedimento espresso (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 6 novembre 2009, n. 7048). Del resto, scopo del ricorso contro il silenzio – rifiuto è ottenere un provvedimento esplicito dell’Amministrazione, che elimini lo stato di inerzia ed assicuri al privato una decisione che investe la fondatezza o meno della sua pretesa". Le peculiarità della vicenda intercorsa tra la ricorrente ed il Ministero dello Sviluppo economico e le sue complesse implicazioni giuridiche e tecniche non escludevano, quindi, l’obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi in maniera espressa sull’istanza prodotta, con riguardo alla quale si era formato l’impugnato silenzio-rifiuto. I medesimi rilievi deponevano poi nel senso che non si fosse in presenza di attività vincolata, per cui avrebbe dovuto escludersi, ai sensi dell’art. 39 c.p.a., che il giudice amministrativo potesse pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza. In conclusione il ricorso doveva essere accolto, con ordine al Ministero dello Sviluppo Economico di provvedere sulla istanza della ricorrente entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza, con la precisazione che, in difetto "sarà nominato, su richiesta della ricorrente, un commissario ad acta perché provveda in via sostitutiva, adottando tutte le determinazioni e tutti gli atti ritenuti opportuni e necessari per l’integrale esecuzione della sentenza stessa". (M.L. per NL)