Come avevamo supposto molti mesi fa, gradualmente, i giudici amministrativi stanno smontando le pasticciate procedure degli uomini di Paolo Romani in tema di digitale terrestre.
Dopo le controverse assegnazioni frequenziali, a cadere una dopo l’altra sotto la mannaia del TAR Lazio sono le attribuzioni effettuate dal Ministero dello Sviluppo Economico dipartimento Comunicazioni ai fornitori di servizi media audiovisivi locali degli identificatori LCN, confezionate con procedure viziate in punto di legittimità. Nei primi giorni di luglio, infatti, sono state depositate al Tribunale Amministrativo Regionale due speculari sentenze (dell’aprile 2011) con cui sono stati accolti i ricorsi di altrettante società lombarde a cui erano state, senza motivazione valida, negate le assegnazioni della numerazione automatica relative a programmi regolarmente muniti di autorizzazione. In fatto, gli enti in questione avevano impugnato la mancata attribuzione, in seno alle determine ministeriali di specie, della numerazione LCN per le regioni Lombardia ed Emilia Romagna con riferimento ad alcuni marchi palinsesti autorizzati, con attribuzione di identificatori diversi per il medesimo marchio in bacini regionali limitrofi serviti da uno stesso impianto. Le ricorrenti, premesso di avere presentato domande per l’attribuzione nelle citate regioni della numerazione automatica dei diversi marchi e palinsesti riconducibili ad emittenti tv locali di derivazione analogica – per i quali erano titolari di autorizzazione per la fornitura di servizi di media audiovisivi e dati in ambito locale – avevano impugnato le determine con le quali il Ministero dello Sviluppo Economico aveva solo parzialmente accolto le domande, assegnando la numerazione automatica per i territori della Lombardia e ell’Emilia Romagna soltanto con riferimento ad alcuni dei marchi richiesti. Con i rispettivi gravami le ricorrenti avevano quindi lamentato l’illegittimità degli atti impugnati preliminarmente in ragione della mancata adozione di un provvedimento finale esplicito, con adeguata motivazione e previa istruttoria, e per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, non avendo l’Amministrazione procedente comunicato il preavviso del rigetto parziale della domanda e, nel merito, censurando la violazione della delibera Agcom n. 366/10/CONS e dei principi di buona amministrazione e imparzialità. Il TAR adito – premesso che, in esecuzione dell’art. 32, comma 2, del decreto legislativo n. 177/2005, come modificato dal decreto legislativo n. 44/2010, l’Agcom, con delibera n. 366/10/CONS, aveva approvato il piano di numerazione LCN per la tv DTT, in chiaro e a pagamento, stabilendo all’art. 5 che alle emittenti locali venissero attribuiti i numeri da 10 a 19 e da 71 a 99 del primo arco di numerazione (comma 1) ed analoghi blocchi per il secondo e terzo arco di numerazione (comma 2), riservando poi a dette emittenti il settimo arco di numerazione (comma 3) – osservava come al comma 4 della delibera fossero stati fissati i criteri di assegnazione della numerazione fra le vari emittenti locali, stabilendosi in particolare alla lettera a) che alle emittenti locali le numerazioni andavano attribuite secondo la collocazione derivante dalla media dei punteggi conseguiti da ciascuna emittente nelle ultime tre graduatorie approvate dai Co.Re.Com., ai sensi del decreto del Ministro delle Comunicazioni n. 292/2004. Una volta emanati i bandi per l’attribuzione delle numerazioni relativamente sia alle aree tecniche già digitalizzate che alle aree tecniche da digitalizzare, il Ministero resistente aveva provveduto quindi alla compilazione delle graduatorie regionali secondo il criterio di cui al richiamato comma 4, pervenendo all’assegnazione delle numerazioni, per i soggetti già precedentemente operanti in tecnica analogica nei vari territori regionali, per un numero massimo di sei marchi per ogni regione e stabilendo di assegnare un primo numero corrispondente al marchio esercito in tecnica analogica alle emittenti presenti nelle graduatorie dei comitati regionali delle comunicazioni negli ultimi tre anni, e procedendo successivamente all’assegnazione del primo marchio anche a soggetti non presenti nelle graduatorie, ma aventi sede legale ed impianti nella regione nonché a soggetti aventi impianti di diffusione nella regione ma con sede legale fuori dal territorio regionale. Le richieste di soggetti non presenti nella regione in qualità di operatori sarebbero invece state prese in considerazione soltanto una volta soddisfatte quelle di tutti i soggetti già operanti nel sistema analogico.La resistente Amministrazione aveva dedotto in sua difesa l’infondatezza dei motivi dei ricorsi, evidenziando come la limitazione delle assegnazioni nel numero massimo di sei marchi per ciascun richiedente sarebbe dipesa dal numero dei soggetti presenti nelle graduatorie sopra menzionate e, quindi, sostanzialmente imposta dall’applicazione rigorosa dei criteri stabiliti con la delibera dell’Agcom n. 366/10, peraltro non impugnata dalle ricorrenti. Il carattere vincolato delle determinazioni assunte – ad avviso del MSE-Com – avrebbe reso quindi prive di pregio le censure sollevate con i gravami, ivi compreso quelle inerenti il mancato preavviso di rigetto e il difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati. Detto rilievo, tuttavia, non convinceva i giudici amministrativi che, infatti, osservavano come, ai fini della concreta assegnazione delle numerazioni, il criterio generale previsto dall’art. 5 comma 4 della delibera Agcom indicata – secondo il quale l’ordine di assegnazione alle emittenti locali delle numerazioni doveva farsi dipendere dalla media dei punteggi conseguiti da ciascuna emittente nelle ultime tre graduatorie approvate dai comitati regionali delle comunicazioni, mentre per le emittenti non collocate nelle graduatorie l’assegnazione delle ulteriori numerazioni doveva avvenire secondo l’ordine cronologico della autorizzazioni – era stato concretamente integrato in sede di distribuzione delle numerazioni tenendo conto di due elementi di fatto, quali la sede legale del soggetto fornitore del servizio e il possesso degli impianti nel territorio della regione, non espressamente menzionati nella delibera. In ragione dei criteri così integrati era accaduto che le ricorrenti non avevano ottenuto l’assegnazione della numerazione per tutti i marchi richiesti, perché l’esaurimento delle numerazioni disponibili per le regioni Lombardia ed Emilia Romagna era dipeso – come attestato dalla stessa difesa dell’Amministrazione resistente – dalla considerazione privilegiata di emittenti aventi sede legale o possesso degli impianti nel territorio regionale. Osservava quindi il Collegio come, "in disparte la questione della legittimità della scelta di ritenere rilevanti nel senso sopra menzionato le predette circostanze di fatto, sicuramente le determinazioni impugnate hanno assunto un contenuto tecnico-discrezionale che non consente di configurarle come atti interamente vincolati e meramente applicativi dei criteri fissati dall’art. 32 comma 2 del d. lgs. N. 177/2005 e dall’art. 5 della delibera Agcom n. 366/10/Cons". Conseguiva da ciò, ad avviso del TAR, la fondatezza delle censure preliminari relative alla violazione dell’art. 10 bis della legge 241/90 e al difetto della motivazione. La partecipazione al procedimento avrebbe consentito infatti agli istanti una possibilità di interlocuzione (anche in ordine alla legittimità dei criteri di assegnazione come integrati) o di eventuale diversa modulazione delle richieste, con conseguente inapplicabilità del disposto di cui all’art. 21 octies secondo comma; mentre l’Amministrazione avrebbe dovuto immediatamente esplicitare, attraverso una adeguata motivazione delle determinazioni impugnate, i criteri adottati e il procedimento applicativo seguito per la distribuzione specifica delle numerazioni. Né poteva, per il TAR, "ritenersi giustificata la violazione degli obblighi in materia di partecipazione in ragione di una presunta urgenza delle determinazioni da adottare, visto il tempo intercorso fra la scadenza del termine per la presentazione delle domande di cui ai relativi bandi e l’adozione delle determine impugnate". Per questi motivi, la rilevata fondatezza delle predette censure implicava una pronuncia di annullamento degli atti impugnati in parte qua, previo assorbimento degli ulteriori profili di censura, ai fini del riesame delle istanze delle ricorrenti. Le due decisioni del TAR Lazio costituiscono ora un importantissimo precedente giurisprudenziale sulla materia, destinato a riverberarsi sui numerossimi casi analoghi già al vaglio dei giudici amministrativi del medesimo organo giurisdizionale o, in sede di richiesta di riesame, avanti alla D.G.S.C.E.R. del MSE-Com. (M.L. per NL)