Nella sua riunione di ieri il Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha adottato a maggioranza una delibera recante i criteri per la determinazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico (MISE), dei contributi annuali per l’utilizzo delle frequenze televisive terrestri.
Contributi che sono a carico dei soggetti assegnatari delle frequenze, ossia – dopo il passaggio al sistema digitale – degli operatori di rete. Il provvedimento è stato preso, sostanzialmente, nella più assoluta indifferenza alle doglianze proposte (peraltro, va detto, in maniera debolissima e senza coordinamento alcuno da parte dei vari sindacati di categoria). "L’Autorità – spiega Agcom in una nota – si è conformata al dettato dell’art. 3-quinquies del decreto- legge n. 16 del 2012, assumendo come valore di riferimento il prezzo di aggiudicazione delle frequenze TV nell’asta conclusasi nel mese di giugno". La delibera prevede un incremento del contributo per ogni multiplex addizionale in funzione anticoncentrativa; un incentivo per l’utilizzazione di tecnologie innovative; un trattamento differenziato per gli operatori locali in ragione della peculiarità del settore. Quanto al criterio dell’applicazione progressiva del nuovo sistema di contributi di cui al comma 4 del citato art. 3-quinquies, l’Autorità ha suggerito la definizione di "un glide path volto a garantire la progressività dell’imposizione e la parità di condizioni tra operatori", ma ha ritenuto di dover rimettere al Governo "la valutazione circa la sua compatibilità con la previsione recata dal comma 7 dello stesso articolo, secondo cui dall’attuazione della disciplina non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica". L’approvazione del provvedimento è stata preceduta da un’interlocuzione con il sottosegretario Antonello Giacomelli, il quale ha preannunciato l’intendimento del Governo di procedere a un riordino complessivo della disciplina in materia di frequenze, contributi e canoni, nell’ambito di un disegno di riforma unitario e coerente. Il Consiglio "ha preso atto con interesse di questa prospettiva, ma ha ritenuto tuttavia ineludibile, allo stato, adempiere i compiti assegnati all’Autorità dalla vigente normativa primaria, restando ovviamente riservata ogni successiva determinazione agli organi titolari della funzione di indirizzo politico, con i quali proseguirà la proficua collaborazione istituzionale instauratasi nel rispetto delle reciproche attribuzioni". Ricordiamo che agli inizi dell’agosto scorso l’ente di garanzia nelle tlc aveva valutato di sospendere l’adottato provvedimento per la rideterminazione dei canoni per l’utilizzo delle frequenze DTT dopo il duro richiamo dell’UE di cui questo periodico per primo aveva dato conto (nel silenzio generale). Il Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva infatti discusso e definito (nella sua riunione del 6 agosto scorso) i criteri generali per la fissazione da parte del Ministero dello sviluppo economico dei contributi annuali per l’utilizzo delle frequenze nelle bande televisive terrestri. Tali criteri, spiegava Agcom in una nota, "sono stati individuati a conclusione di un lungo e accurato lavoro istruttorio, sulla base di una proposta del relatore Francesco Posteraro, che ha tra l’altro tenuto nel massimo conto – in applicazione del dovere di leale cooperazione di cui all’articolo 4(3) del Trattato sull’Unione Europea – le osservazioni formulate nei giorni scorsi dalla Commissione europea". In realtà, osservavamo all’indomani della decisione in autotutela dell’Autorità, come dalla nota della Commissione Europea, pubblicata da NL quasi in forma solitaria, più che di osservazioni sarebbe stato opportuno parlare di veri e propri richiami all’ordine. Infatti, le tariffe per l’utilizzazione dei canali per la radiodiffusione televisiva terrestre fissate da Agcom, secondo la Commissione, avrebbero favorito gli operatori nazionali esistenti (che avrebbero pagato meno di oggi per lo svolgimento della loro attività) penalizzando pesantemente i network provider locali e i cd. "nuovi entranti" (che difficilmente sarebbero riusciti a stare sul mercato). Nel merito, la Commissione Europea, temendo un consolidamento del duopolio in pendenza della chiusura della procedura d’infrazione avviata a seguito del caso Europa 7, il 18 luglio 2014 aveva inviato ad Agcom e al Ministero dello Sviluppo Economico una nota dal tono inequivocabile sia su tale argomento (con particolare riferimento all’assegnazione di uno dei tre lotti del dividendo digitale interno all’unico richiedente, il gruppo Cairo) che, appunto, sulla vicenda "canoni" (qui il testo integrale). Raccogliendo le doglianze degli operatori di rete locali, Bruxelles aveva, senza mezzi termini, bacchettato nuovamente le autorità italiane, che, scrivevamo, avrebbero dovuto prendere atto delle vincolanti indicazioni comunitarie (impartite sulla base del principio di "leale cooperazione" che vincola gli stati membri dell’UE) disponendo gli adeguamenti alle indicazioni sovranazionali, pena l’apertura di nuove procedure per la verifica di eventuali infrazioni al diritto europeo. L’Autorità aveva quindi deciso, opportunamente, "di non procedere per il momento all’approvazione della delibera, alla luce dell’intendimento del Governo, comunicato dal Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico, di adottare modifiche al vigente assetto legislativo della materia nel prossimo mese di settembre". La decisione dell’Autorità, teneva a precisare l’ente, "è stata assunta nello spirito di leale collaborazione che caratterizza, nel rispetto della reciproca indipendenza, i rapporti con gli Organi costituzionali". Ora, invece, il nuovo cambio di rotta, con la pubblicazione del nuovo provvedimento che ricalca il precedente. Si concretano pertanto le preoccupazioni degli operatori minori per una persistenza di un atteggiamento ritenuto troppo favorevole ai superplayer e in particolare a Mediaset (accusa respinta al mittente dal vertice del Biscione). (M.L. per NL)