Si tratta di un evento epocale: i diritti d’uso DTT in ambito nazionale saranno convertiti in capacità trasmissiva. Lato utente, a parte l’avvicendamento tecnologico (al T2), nulla cambierà. Ma sul piano giuridico, si tratta di un vero e proprio stravolgimento dei principi che hanno fin qui retto il sistema radiotelevisivo italiano.
Attraverso la delibera Del. 182/18/CONS, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), ha avviato, ai sensi dell’articolo 1, comma 1031 della legge n. 205/2017, il procedimento per la definizione dei criteri per la conversione dei diritti d’uso delle frequenze in ambito nazionale per il servizio digitale terrestre in diritti d’uso di capacità trasmissiva e per l’assegnazione in ambito nazionale dei diritti d’uso delle frequenze pianificate.
La delibera Agcom trae impulso dalla Legge di Bilancio 2018, che, all’articolo 1, commi 1026 e seguenti, in attuazione della citata decisione (UE) n. 2017/899 del Parlamento europeo, ha disciplinato e scadenzato il processo che porterà, nel quadriennio 2018 – 2022, da un lato, ad assegnare le frequenze nella banda 700 MHz (694-790 MHz) ai sistemi terrestri in grado di fornire servizi di comunicazione elettronica a banda larga senza fili, dall’altro, a dare un nuovo assetto al sistema radiotelevisivo su piattaforma DTT (nazionale e locale) alla luce della dotazione di risorse spettrali rimaste a disposizione per il servizio broadcasting (da 174 a 230 MHz e da 470 a 694 MHz).
In particolare, il comma 1031 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018, stabilisce che: “In linea con gli obiettivi della politica audiovisiva europea e nazionale di coesione sociale, pluralismo dei mezzi di comunicazione e diversità culturale e con la finalità della più efficiente gestione dello spettro consentita dall’impiego delle tecnologie più avanzate, tutte le frequenze assegnate in ambito nazionale e locale per il servizio televisivo digitale terrestre ed attribuite in banda III VHF e 470-694 MHz sono rilasciate secondo il calendario di cui al comma 1032.
Per le medesime finalità di cui al primo periodo, i diritti d’uso delle frequenze di cui sono titolari alla data di entrata in vigore della presente legge gli operatori di rete nazionali sono convertiti in diritti d’uso di capacità trasmissiva in multiplex nazionali di nuova realizzazione in tecnologia DVB-T2, secondo i criteri definiti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni entro il 30 settembre 2018 ai fini dell’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni entro il 30 settembre 2018 stabilisce i criteri per l’assegnazione in ambito nazionale dei diritti d’uso delle frequenze in banda 470-694 MHz UHF pianificate ai sensi del comma 1030 per il servizio televisivo digitale terrestre agli operatori di rete nazionali, tenendo conto della necessità di assicurare il contenimento degli eventuali costi di trasformazione e di realizzazione delle reti, la riduzione dei tempi del periodo transitorio di cui al comma 1032 e la minimizzazione dei costi ed impatti sugli utenti finali. […]”.
Ora, affrontando gli aspetti sostanziali sottesi alla Delibera Agcom in esame, assumendo che il T2 (Hevc) offre una moltiplicazione della capacità trasmissiva rispetto allo standard T1 (SD) e che oggi Mediaset, RAI e Persidera dispongono di 5 mux a testa, mentre Retecapri, DFree (Prima TV), Europa Way (Europa 7), H3G (La 3) e Cairo (La 7) ne hanno uno a testa, significa necessariamente ipotizzare soluzioni aggregate e non già gestione totalmente in proprio della capacità trasmissiva.
Ma EI Towers (gruppo Mediaset, così come Elettronica Industriale, che gestisce i multiplex Mediaset 1,2,3,4,5 e in precedenza Mediaset 6) offre anche infrastrutture agli altri operatori (Cairo, DFree, La 3 e Retecapri) ed è di fatto un operatore di rete “over”, nel senso che va oltre il business della vendita di capacità trasmissiva, ponendosi ad un livello differente (Raiway invece opera in forma captive per la gestione delle sole reti RAI in nazionale, mentre offre servizi infrastrutturali quasi esclusivamente a player locali).
Come abbiamo già esaminato, non è quindi difficile ipotizzare un ruolo da parte del Biscione come collettore o “agevolatore” di almeno un’unità a partecipazione “diffusa” dove ciascun (ex) network provider titolare in proprio di diritti d’uso diverrebbe una sorta di socio di capitali con facoltà di commercializzazione di una porzione di capacità trasmissiva discendente dal canale assegnato. C’è però la variante Persidera, i cui mux devono necessariamente essere alienati in ossequio alla nota vicenda Telecom Italia/Vivendi: si tratta di 5 mux che allo stato della legislazione settoriale non possono andare né a Mediaset né a RAI (perché già hanno il numero massimo di multiplexer per soggetto), ma nemmeno in blocco agli altri player monomux (perché ognuno di essi arriverebbe a 6, quindi oltre il tetto consentito). Questi canali dovrebbero quindi finire ad un nuovo entrante (che potrebbe essere il fondo F2i, che in cordata con RaiWay potrebbe acquisirli, suddividendo l’asset tra diritti d’uso ed infrastrutture, soluzione che potrebbe ovviare al limite di concentrazione), oppure – in maniera molto meno probabile – essere frazionati tra gli altri player monodiritto (o attraverso partecipazioni non rilevanti dei superplayer).
Comunque sia, il modello italiano, basato per oltre 40 anni sulla titolarità delle frequenze, attraverso la delibera Agcom in argomento inizia a mutare radicalmente per assumere una connotazione più simile a quella della maggior parte degli Stati. Almeno sul piano formale. (M.L. per NL)