Questo pomeriggio (ieri, ndr) ho seguito con interesse quasi tutto il seminario che l’ordine degli ingegneri milanesi ha tenuto sullo standard di radio digitale DRM. Ho perso solo parte dell’excursus introduttivo di Guido Vannucchi sull’evoluzione della radio, ma sono riuscito a registrare tutto. Se volete, il corposo file mp3 potete trovarlo qui (chiedo scusa per la qualità non sempre perfetta).
Che dire? Interessante, soprattutto nelle considerazioni fatte da RAI e Radio Vaticana, che hanno anche parlato di aspetti come l’efficacia della copertura in termini di segnali misurati. Sono anche state dette cose discutibili. Per esempio: perché IBOC (su cui è stato espresso molto scetticismo dal punto di vista della sua utilizzabilità in Europa) sarebbe così poco adatto alla situazione caotica della nostra banda FM, mentre il DRM+ andrebbe benissimo? Perché il tecnico di Raiway che cura anche gli impianti in onde corte afferma che la modulazione analogica è esposta al fenomeno della evanescenza (fading), mentre il DRM è stabile come una roccia? Perché non aggiunge anche che in termini di comprensibilità totale forse mezz’ora di notiziario con qualche evanescenza è meglio, per il nostro orecchio e il nostro cervello, di un notiziario fatto di due minuti perfettamente comprensibili, due minuti di totale silenzio per mancata decodifica, altri due minuti perfetti, altri quattro di buco totale… Insomma, che forse queste benedette onde corte digitali non sono poi così entusiasmanti.
Su questo punto tutti sembrano implicitamente d’accordo. Il DRM+ sarà una ottima alternativa locale (per esempio nella banda dei 26 MHz). Per ST Micro, coinvolta nella produzione dei chipset, è “probabilmente la migliore alternativa alla AM analogica”. Ma ancora una volta esco da uno di questi incontri con la sensazione che intervenuti e pubblico si parlino un po’ addosso. Che ancora nessuno è stato capace di organizzare un convegno al quale fossero ammessi tutti gli interessati alla catena del valore della radio così come la conosciamo oggi (sistemi digitali già in funzione compresi) e durante il quale tutti possano esprimere le loro esigenze. Gli ascoltatori che hanno evidentemente interesse a una buona qualità e varietà d’ascolto, alla validità dell’offerta culturale, all’imparzialità delle notizie; anche pagando qualcosa. Alle emittenti grandi e piccole, preoccupate di difendere la loro capacità di raggiungere vasti bacini di utenza accanto alla possibilità di raggiungere, senza discriminazioni, bacini molto ristretti o locali. Ai produttori di programmi indipendenti, che devono trovare un ragionevole sbocco e fonti di finanziamento in buona salute. Ai rappresentanti politici degli elettori, che devono poter contare su tutti i canali possibili per far arrivare il loro messaggio. Ai regolatori. Agli inserzionisti. E, perché no, ai produttori di tecnologie e di apparecchi.
Forse se tutte queste persone si sedessero intorno a un tavolo per discutere, arriverebbero a conclusioni diverse sulla opportunità di salvaguardare almeno in parte le modulazioni analogiche. Paolo Ruffino, di ST Micro, si è soffermato a lungo sullo sviluppo della radio (parlo dell’hardware usato per la ricezione) dallo stato solido analogico all’uso di tecnologie di trattamento digitale. «La vera radio digitale non è questa,» ha detto affermando che solo chiudendo il cerchio con la trasmissione (la modulazione) digitale si può parlare di autentica digitalizzazione. Non sono affatto d’accordo: il lavoro fatto dai radioamatori in campo SDR dimostra che un ricevitore tutto digitale può fare molto anche quando riceve una trasmissione analogica convenzionale. E Ruffino stesso, rispondendo alla semplice domanda di uno spettatore che chiedeva perché non fosse possibile ascoltare Radio 3 in FM a Monza, ha detto che con un buon ricevitore la ricezione migliorerebbe. Appunto, con un buon ricevitore. Perché non proviamo a investire su questo, perché non facciamo in modo che la regolamentazione dello spettro sia razionale e soprattutto rispettata da tutti? Perché la transizione verso il digitale deve essere per forza affidata a tecnologie “in band” comprovate solo nei disturbi che possono arrecare alle vicine emissioni analogiche, senza che nessuno pensi di organizzare meglio la sperimentazione? Perché come ha concluso Vannucchi, non si riesce ad attivare una banda DAB/DMB sulla quale far convogliare i più importanti multiplex nazionali, liberando così frequenze analogiche da destinare a ulteriori esperimenti col digitale. Nessuno, finora, ha mai dato una risposta compiuta a queste domande.
Vi ricordo, nell’ordine, gli interventi che potete ascoltare sulla registrazione della giornata milanese sul DRM:
Prof. Guido Vannucchi -Aict
P.I. Giuseppe Allamano – Ass. DRM
Ing. Aldo Scotti – Rai
Ing. Sandro Piervenanzi – Radio Vaticana
Dott. Paolo Ruffino – ST
Dr. Maria Teresa Cazzaniga – Arpa Milano