Il dividendo digitale rischia di imbullonare la televisione italiana. O meglio, rischiano di farlo le controverse procedure di assegnazione delle frequenze da parte del MSE-Com.
I pasticci combinati nel nord Italia dagli uomini di Paolo Romani hanno avuto come conseguenza, oltre a un centinaio di ricorsi al TAR, anche il prelievo di risorse radioelettriche, accantonate per il beauty contest, per tamponare le situazioni più critiche. Frequenze a cui, peraltro, stanno attingendo anche i giudici amministrativi, che, nel demolire farraginose procedure di attribuzione frequenziali e di identificatori LCN, ordinano riesami, nominano commissari ad acta (col compito di capire come sia stato possibile arrivare ad emanare provvedimenti che non stanno in piedi nemmeno se puntellati) e autorizzano l’impiego degli unici canali disponibili per evitare il collasso delle aziende tv locali. E visto che in Italia non c’è niente di più definitivo del provvisorio, sono ormai in molti a chiedersi se le frequenze del beauty contest così occupate saranno realmente disponibili per la gara sul cui regolamento l’UE in questi giorni si pronuncerà. Peraltro, sull’utilizzo disinvolto dei canali del digital dividend ha domandato chiarimenti a Paolo Romani anche Sky, curiosa di sapere perché Mediaset stia impiegando oltre i termini inizialmente previsti (sei mesi) il miglior canale disponibile (il 58) per sperimentazioni HD che sembrano avere finalità più commerciali che tecniche. Non va meglio sul fronte del dividendo esterno (i canali 61/69), posto che il tentennante governo Berlusconi starebbe cedendo alla richiesta di posticipare la gara di attribuzione ai telefonici per lo sviluppo della banda larga mobile in attesa di ridefinire l’equo indennizzo previsto dalla legge di Stabilità (l’alternativa, del resto, sarebbe quella di sottrarre frequenze ai primari operatori tv nazionali). Così protestano tutti: dalle deboli e scoordinate rappresentanze delle tv locali ai provider telefonici, dai nuovi entranti alle associazioni dei consumatori. Insomma, un pasticcio, caratteristicamente nostrano, che rischia di sbarrare lo sviluppo della televisione italiana di qui ai prossimi cinque anni. Una pacchia per i superplayer, che così proseguiranno indisturbati senza competitor ancora per lungo tempo.